
Milano delle meraviglie
Quando Milano era sede imperiale
Di M. Rita Stallenghi
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Indice
- Milano capitale
- Centralità topografica
- Assetto urbano
- Attività economiche
- Società e cultura
- Bibliografia
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Milano capitale dell’Impero romano (286 – 402)
Milano, l’antica Mediolanum, fu una delle capitali dell’Impero Romano per un periodo di centosedici anni, da quando l’imperatore Massimiano, nel 286, la scelse come residenza imperiale stabile, fino a quando un altro imperatore, Onorio, nel 402, decise di trasferire la sede governativa a Ravenna. Milano, nel III e IV secolo d. C, al centro della Pianura padana sorgeva come una città fortificata con spesse mura intervallate da torri, e porte ben sorvegliate. All’interno delle mura imponenti si levavano il palazzo imperiale, il circo, le terme, il foro, una strada con portici e arco onorario, molti templi delle più svariate divinità classiche, celtiche e orientali frequentati dalla società cosmopolita che affollava la città.
Milano era il cuore economico e civile della Pianura Padana; una miriade di abitazioni e botteghe rivelava laboriosità dei Milanesi, la cui principale occupazione erano gli scambi commerciali.
Ma la città era fiorente anche per le intense attività artigianali che vi si praticavano.Un ben articolato sistema stradale, che si irradiava da Milano verso i valichi alpini e le aree lacustri, rendeva la città snodo commerciale e politico di primaria importanza.
Fu proprio tale centralità topografica a far ritenere la città idonea a svolgere la funzione di centro governativo e amministrativo.
I numerosi e splendidi edifici, che vi furono eretti, testimoniano la ricchezza di quell’epoca.
Di essi, oggi, non rimangono che poche rovine occultate dagli edifici moderni e ignorate dalla maggior parte dei Milanesi.
La vita culturale della città era vivace. Vi si confrontavano e spesso si scontravano la cultura pagana e la più recente visione cristiana del mondo. Nel III e IV secolo sopravvivevano feste, dedicate a Cerere o a Maia, ad esempio, e culti pagani, come il mitraismo o la religione solare (alcuni ritrovamenti archeologici ne danno conferma). Pagani erano gli spettacoli del Circo o dell’Anfiteatro, che richiamavano una grande affluenza di pubblico ma che erano deprecati dai cristiani che si rifiutavano di assistervi e manifestavano intolleranza nei confronti dei pagani. Al visitatore che a quel tempo arrivava a Milano, questa città offriva un magnifico spettacolo di vigore e opulenza, tanto che il poeta Ausonio ne rimase incantato e ne celebrò l’elogio nei suoi versi.
Nel trattato “Ordo Urbium Nobilium”, Ausonio decanta le bellezze di Milano, ponendola al settimo posto tra le maggiori città dell’Impero Romano. Molti secoli dopo, Milano grata, ha dedicato al poeta un monumento commemorativo.

La statua barocca situata sopra l’arco, che da Piazza Mercanti permette l’accesso a via Orefici, rappresenta il poeta Ausonio, la lapide a sinistra riporta i versi dedicati allo sfarzo di Mediolanum, mentre la lapide di destra celebra il Prefetto spagnolo della città – Petrus Georgius Burrus – che fece costruire l’edificio
Lapide di sinistra riporta i versi di Ausonio, la lapide di destra commemora il prefetto di Milano
Questi sono i versi riportati nella lapide commemorativa che Milano ha dedicato alla memoria del poeta:
| Et Mediolani mira omnia, copia rerum, innumerae cultaeque domus, facunda virorum ingenia et mores laeti, tum duplice muro amplificata loci species populique voluptas, circus, et inclusi moles cuneata theatri, templa Palatinaeque arces opulensque moneta et regio Herculei celebris sub honore lavacri; cunctaque marmoreis ornata peristyla signis moeniaque in valli formam circumdata limbo. Omnia quae magnis operum velut aemula formis excellunt nec iuncta premit vicinia Romae.. | A Milano tutto è meraviglioso: abbondanza di mezzi, case numerose ed eleganti, negli abitanti un’innata capacità oratoria e costumi di vita piacevoli; inoltre, la pianta della città resa più ampia da una duplice cinta muraria e, come divertimento per il popolo, il circo e la mole del teatro a gradinate racchiusa nell’abitato; gli edifici religiosi, l’alto palazzo imperiale, la ricca zecca e il quartiere affollato abbellito dalla presenza delle terme erculee: e tutti i porticati adorni di statue di marmo, e le mura circondate da una striscia di acqua come un baluardo. Tutti edifici che spiccano quasi gareggiando in grandiosità e non vengono messi in ombra dalla vicinanza di Roma. |
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L’arco è strutturalmente connesso al palazzo delle Scuole Palatine.
Al centro del palazzo, in alto, una statua molto simile a quella di Ausonio rappresenta, invece, Sant’Agostino, che la tradizione vuole fosse docente di retorica in queste antichissime scuole, prima della sua conversione al Cristianesimo ad opera di Sant’Ambrogio.
Agostino giungerà a Milano nel 384 poiché gli era stato affidato l’incarico di maestro di retorica:
“Perciò, quando il prefetto di Roma ricevette da Milano la richiesta per quella città di un maestro di retorica, con l’offerta anche del viaggio sulle vetture di Stato, proprio io brigai e proprio per il tramite di quegli ubriachi di favole manichee, da cui la partenza mi avrebbe liberato a mia insaputa. Dopo avermi saggiato in una prova di dizione, il prefetto del tempo, Simmaco, m’inviò a Milano. Qui incontrai il vescovo Ambrogio”
(Agostino, Confessioni, V, 13, 23)
Oltre ad essere un centro turisticamente attrattivo, Milano svolgeva anche una funzione strategica, era un avamposto militarizzato per un intervento immediato in difesa dei territori nordoccidentali dell’impero, continuamente sottoposti a incursioni di popolazioni germaniche o a tentativi secessionisti da parte di usurpatori. Per i nemici dell’impero rappresentava un obiettivo da abbattere e fu pertanto più volte oggetto di assedi e di saccheggi, soprattutto dalla seconda metà del IV secolo in poi. Nonostante la prosperità e il benessere non mancavano tra la popolazione tensioni e motivi di contrasto legati in special modo alle divergenze in campo religioso. Dopo il riconoscimento della libertà di culto anche a Milano si era diffusa la dottrina di Ario, condivisa da alcuni imperatori e vescovi.
I contrasti tra ariani e cattolici, originati a volte anche da interessi economici, sfociavano spesso in tumulti e tafferugli tra opposte fazioni. In un clima agitato e inquieto, giunse a Milano Ambrogio, trovandosi invischiato nei più grandi avvenimenti politici e religiosi del tempo. Vi prese parte attiva, prima come governatore e poco dopo come vescovo, assumendo spesso posizioni ferme e decise, ed esercitando una grande influenza in nome di un’autorità morale e religiosa, di cui egli si considerava il depositario autorizzato da Dio.

L’autorità di cui Ambrogio godette presso gl’imperatori del suo tempo, prima Graziano, poi Valentiniano II e Teodosio, mirò principalmente ad assicurare l’adozione di più severe misure contro i culti pagani, a togliere agli ariani l’appoggio del potere civile e a ristabilire la pace nella Chiesa. L’ascesa di Milano da modesto centro urbano a capitale è dovuta principalmente alla decisione dell’imperatore Diocleziano di trasformare in tetrarchia la forma di governo dell’Impero.
L’imperatore si era reso conto di quanto fosse difficile e problematico tenere sotto controllo la compattezza di un’entità statale molto complessa necessaria per un territorio esteso. Occorreva respingere i continui sconfinamenti da parte delle popolazioni germaniche, e occorreva reprimere i frequenti tentativi secessionisti di alcune province. Da solo al comando sarebbe stato inadeguato a garantire la sicurezza di un impero tanto grande. Ritenne che si potessero gestire meglio le varie situazioni critiche, suddividendo responsabilità e compiti di governo tra vari collaboratori. Decise, pertanto, di affidare al suo amico e compagno d’armi, Massimiano il comando sulla parte occidentale dell’Impero, in qualità di “Augusto”.
Da questo momento in poi cambia anche la funzione dell’imperatore che non può più vivere appartato nel suo palazzo e da lì governare l’impero, egli deve essere presente nei luoghi di crisi, deve essere onnipresente e combattente e non può risiedere in una sola capitale, egli non conosce che residenze provvisorie. Massimiano scelse come capitale e residenza Milano che rispondeva a esigenze di natura militare ed era un comodo snodo di traffici fluviali e terrestri. Inoltre, in passato si era già rivelata strategicamente importante.
Nel 260, infatti, nei pressi di Milano, Gallieno era riuscito a respingere gli invasori. Al vincitore la popolazione di Milano costruì un arco di trionfo. Dai reperti archeologici rinvenuti pare che in seguito a questi avvenimenti gli abitanti abbandonarono i rioni non protetti dalle strutture murarie difensive per trasferirsi dentro il centro abitato. A tutela del territorio, l’imperatore aveva creato il corpo degli equites promoti, una riserva di soldati, composta perlopiù da uomini a cavallo forniti di armatura di notevole peso, che erano in grado di intervenire in un tempo minore rispetto ai fanti. La presenza di contingenti militari era poi aumentata nel corso degli anni e, per finanziare le campagne militari, allestire fortificazioni, versare i tributi alle popolazioni germaniche federate, a Milano era stata fondata la Zecca. Oltre che capitale dell’impero d’Occidente, la città divenne sede del “Prefetto del Pretorio”, che si occupava dell’amministrazione civile e militare, e del “Vicario annonario d’Italia”, che provvedeva al mantenimento della corte e delle milizie del seguito. La presenza di un’officina governativa e di istituti governativi fa capire la portata della funzione direttiva svolta dalla città.

A Milano, nel 291, fecero il loro ingresso trionfale su un carro d’oro e d’avorio, Diocleziano e Massimiano, per discutere privatamente di problematiche militari. Fu un evento notevole, folle si adunarono per assistere alla discesa dei sovrani in città, e gli imperatori dedicarono molto tempo alle apparizioni in pubblico.
L’”Augusto” Massimiano soggiornerà a Milano per lunghi periodi. Costantino vi risiederà ripetutamente e nel 313, durante i fastosi festeggiamenti per le nozze della sorella Costanza con Licinio, emanerà l’Editto di Tolleranza. Sempre a Milano risiederanno pressoché stabilmente Costanzo II, Valentiniano I, Graziano e Teodosio.
Il nuovo ruolo politico e militare assunto dalla città determina trasformazioni in tutti gli ambiti, da quello sociale e urbanistico a quello economico e culturale. La città cambia volto, sono erette nuove e più ampie mura, edificati nuovi palazzi, aperte nuove strade.
Milano capitale diventa un luogo attrattivo e richiama intellettuali, artisti, architetti, artigiani. La vita culturale della città ha legami sia col mondo laico sia col mondo ecclesiastico, con la cultura pagana e con quella cristiana.
Milano è sede della corte ma anche del vescovo, la figura più eminente che in questo periodo guida la cristianità cittadina è quella del vescovo Ambrogio. Egli proveniva dall’aristocrazia romana, era di cultura pagana, ma era stato educato cristianamente, prima era stato altissimo funzionario imperiale, poi fu eletto vescovo della città; quindi, rappresentava la fusione fra due culture, fondeva in sé due componenti una pagana e l’altra cristiana che facilitarono la concordia tra Stato e Chiesa.
La presenza di molteplici esperienze religiose e culturali, rendeva Milano una città intellettualmente vivace. Sotto il profilo sociale la popolazione era variamente composita, accanto ai grandi proprietari terrieri, abituati al lusso e alla vita fastosa, coesisteva un ricco ceto di “mercatores” che con la loro operosità e laboriosità costituivano la struttura portante dell’economia.
In questa Milano, imponente nella sua architettura e prospera nelle sue attività, iniziano tuttavia ad emergere elementi di crisi.
Un malcostume in particolare suscitava l’indignazione del vescovo Ambrogio: l’abitudine largamente diffusa in città del prestito di denaro ad usura che portava spesso ad un indebitamento incontrollabile.
L’esibizione del lusso, per alcune fasce di popolazione era ritenuto un obbligo sociale e ciò costringeva le persone a mantenere un tenore di vita superiore alle reali possibilità economiche. Sostenere consumi voluttuari di unguenti e spezie, apparecchiare mense imbandite di cibi stranieri e raffinati, o ancora indossare vesti preziose intessute d’oro e di seta erano altrettanti “status symbol” irrinunciabili. La presenza della corte imperiale induceva molti a mantenere un alto tenore di vita per manifestare la propria importanza.
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Centralità topografica di Milano – le vie terrestri e fluviali
L’importante e vasta Roma era situata in una zona centrale della penisola, i suoi interessi economici e culturali gravitavano verso l’area mediterranea. La posizione di Milano, al contrario, era certamente isolata e fuorimano. Tuttavia, era un centro di rilievo.
Agostino che vi giunge nel 384, come retore di corte, nota che non c’è illuminazione notturna come nelle città mediterranee, ma questa è una carenza facilmente comprensibile se si considera che nella regione era assente la produzione olearia che, invece, abbondava nel meridione. Milano ha comunque il vantaggio di trovarsi in una posizione centrale rispetto alla rete di comunicazione fluviale e terrestre della pianura Padana. In età imperiale i collegamenti con le province della Gallia Cisalpina, l’odierna Pianura Padana, avvenivano attraverso la via Postumia, che congiungeva per via di terra i due principali porti romani del nord Italia: Aquileia, grande centro nevralgico dell’Impero Romano, sede di un grosso porto fluviale accessibile dal Mare Adriatico, e Genova.
La via Postumia era una via consolare fatta costruire nel 148 a.C. dal console romano Postumio Albino per scopi prevalentemente militari. Con l’intensificarsi degli scambi, la via Postumia si rivelò inadeguata, quindi, furono aperte nuove strade come la pedemontana che, collegandosi alla via Postumia, da Milano permetteva di raggiungere Aquileia.
Tale arteria era la cosiddetta via Gallica, che univa i maggiori “municipia” della Pianura Padana. Iniziava a Gradum passando poi da Patavium, Vicetia, Verona, Brixia, Bergomum, Milano e Augusta Taurinorum, dove terminava il suo percorso.

Nel III-IV secolo i collegamenti stradali creati in età repubblicana erano ancora in ottimo stato, grazie alla costante manutenzione.
Le vie utilizzate per gli spostamenti dall’Italia centrale verso i territori transpadani erano i grandi assi stradali consolari: la via Flaminia, che collegava Roma con Ariminum e la via Emilia, che da Ariminum raggiungeva Piacenza. I trasporti su strada diretti al Nord, rendevano Milano un nodo rilevante della rete viaria poiché permetteva le comunicazioni tra la viabilità transalpina e i traffici lungo fiumi e laghi. La manutenzione, particolarmente intensa nel periodo di Gallieno (260-268) e di Costantino (306 – 337) rendeva le strade perfettamente adatte sia allo spostamento dei contingenti militari, sia ai trasporti delle merci.
Quando Milano divenne capitale, crebbe l’importanza dei valichi delle Alpi centrali, e delle due vie, ad esse trasversali, che si dipartivano dal Verbano (Lago Maggiore) e dal Lario (Lago di Como).
L’asse Mediolanum-Comum-Cuneus, Aureus-Curia-Brigantium, che si impose per il notevole valore strategico, è citato dall’ “Itinerarium Antonini Augusti”[1] e dalla “Tabula Peutingeriana“[2].

Durante la prima epoca imperiale romana, secondo l’Itinerarium Antonini, da Milano partivano complessivamente cinque strade di lunga percorrenza:
1) verso le Gallie e la penisola Iberica, con prima tappa Pavia;
2) verso il centro/sud Italia lungo la costa adriatica, con prima tappa Lodi;
3) verso Magonza attraverso le Alpi Pennine, con prima tappa Novara;
4) verso Aquileia, con prima tappa Bergamo;
5) verso Bregenz sul lago di Costanza, con prima tappa Como;
Nel IV secolo gli imperatori risiedevano spesso a Milano, ormai da considerare la principale fra le capitali dell’Impero, per la sua difendibilità e per la sua vicinanza ai passaggi più diretti delle Alpi verso la zona ‘calda’ degli Agri Decumates, fra Reno e Danubio, dove più frequentemente le tribù germaniche riuscivano a sfondare le difese del “limes” reno-danubiano.
Ma l’esistenza di una rete viaria estesa, se da una parte costituiva un fattore di sviluppo economico in quanto facilitava il movimento delle persone e delle merci in modo rapido e sicuro, dall’altra rappresentò un elemento di debolezza sul fronte della difesa del territorio, poiché, nonostante l’incremento della presenza militare romana, agevolerà la penetrazione delle tribù germaniche, che attraverso la Retia invaderanno l’Italia, saccheggeranno Milano e Piacenza e rapidamente, attraverso le strade consolari, raggiungeranno Roma.
Milano si avvantaggiava, inoltre, anche di un altro fattore; sorgeva infatti, in un’area in cui convergevano sia la rete delle comunicazioni terrestri sia la rete delle vie fluviali, costituite da corsi d’acqua di portata pressoché costante, tali da consentire la navigazione in qualunque stagione dell’anno. le vie d’acqua erano fondamentali o molto utilizzate per il trasporto di ingenti quantità di merci.
La Milano – Verbannus era percorribile per un tratto via terra e per un altro tratto occorreva navigare sul lago Maggiore, per proseguire poi di nuovo via terra fino a Domodossola, da dove si potevano imboccare i passi alpini. Molti affluenti del Po erano navigabili da Ticinum (Pavia) si risaliva il Verbanus (Lago Maggiore); la confluenza dell’Adda permetteva la penetrazione verso Laus Pompeia (Lodivecchio), i laghi di Olginate, Lecco fino al Lacus Larius e, attraverso la Mera, fino a Clavenna e ai valichi per la Retia, la Vindelicia, le Germanie, mentre la confluenza dell’Oglio permetteva di raggiungere i mercati di Bergomum e Brixia.
Tramite il Mincio, erano raggiungibili la via Postumia e la via Gallica, immettendosi poi nel Lacus Benacus (lago di Garda).
Fin dalle origini Milano era caratterizzata dalla presenza nell’area urbana di un sistema di canali artificiali, che nel tempo è stato modificato e adattato alle necessità dello sviluppo cittadino, e che è stato utilizzato a fini difensivi e per il trasporto fluviale con il bacino del Po.Nel IV sec. diventano importanti le vie terrestri e fluviali che vanno dall’Adriatico al Tirreno, cioè secondo gli assi orizzontali, mentre fino al secolo precedente, erano stati importanti gli assi verticali dalle Alpi a Roma. In questo periodo Milano e Aquileia sono divenute le due città guida, sono sedi di concili, di nozze importanti, di emanazione di editti, mentre Roma è emarginata.
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Assetto urbano
Fino all’ultimo decennio del III secolo, Milano era una sede provinciale, centro commerciale e amministrativo come tante altre città dell’Impero. Era circondata da una cinta muraria dalla forma quadrangolare, aveva il foro, situato all’incrocio del cardo massimo e del decumano massimo, il teatro, case signorili ben arredate, magazzini e un anfiteatro che poteva ospitare non meno di trentamila spettatori.

Quando Milano fu scelta come capoluogo dell’Occidente e residenza del tetrarca Massimiano, la città crebbe ulteriormente, si espanse fino a raggiungere, sul finire del terzo secolo, il suo massimo splendore. Per iniziativa di Massimiano, furono ampliate le mura, fu costruito un palazzo per la residenza dell’imperatore, un circo per le corse dei carri, le terme dette “erculee” per il benessere degli abitanti, l’horreum [3], ninfei [4], fontane, nuove arterie stradali e la città assunse un aspetto imponente degno di una capitale.
Su iniziativa imperiale venne resa monumentale la strada che, uscendo da Porta Romana, conduceva a Roma, l’attuale Corso di Porta Romana. Per un miglio intero, la via era fiancheggiata da portici colonnati con una porta d’ingresso ad arco, i cui resti sono stati riconosciuti all’altezza del Largo Crocetta. Da una lettera indirizzata da Ambrogio a Ireneo, un diacono della chiesa milanese, veniamo a conoscenza dell’esistenza a Milano degli ipogei, i famosi “criptoportici”, usati in età romana come terrapieni illuminati da feritoie e decorati da mosaici e pitture, freschi d’estate e temperati d’inverno, destinati al passeggio cittadino. Ambrogio ricorda anche il lusso della società milanese e la tendenza del suo tempo a moltiplicare le abitazioni. Il poeta Ausonio che la visitò sul finire del secolo, nei suoi versi ne cantò un elogio di ammirazione. Di tutti gli edifici di epoca romana, sono rimaste ben poche tracce, la città moderna è stata costruita sulle rovine del passato, che giacciono sepolte, facendo da fondamenta alle costruzioni edificate nel corso dei secoli.
Splendide ricostruzioni della Milano di 1700 anni fa sono reperibili sul sito:
https://blog.urbanfile.org/2019/04/04/milano-mediolanum-il-circo-il-palazzo-imperiale-e-il-teatro-romano/
Bisogna tener presente che la carenza di materiali edilizi costituiva un problema non indifferente per i costruttori milanesi.
Nei dintorni di Milano non c’erano cave di pietra e mancava l’argilla per la fabbricazione di mattoni e laterizi, così i materiali di edifici demoliti venivano riutilizzati per la costruzione di edifici di epoche successive.
Tutte le fondamenta dei fabbricati di cui sono stati rinvenuti i resti, sono fatti di ciottoli amalgamati con malta. I ciottoli abbondavano per la presenza di numerosi corsi d’acqua. I laterizi e i mattoni venivano usati con parsimonia, per i rivestimenti esterni.
Quindi per costruire nuovi palazzi occorreva demolire altri edifici andati in disuso.
L’altro elemento da ricordare è che Milano fu rasa al suolo per ordine dell’imperatore Federico Barbarossa, nel 1161, solo gli edifici di culto furono risparmiati. Non c’è da stupirsi se dell’architettura di epoca romana non rimane in piedi che qualche sporadico frammento.
EDIFICI
| Il Foro | La Zecca | Il Teatro | L’Anfiteatro | La Mura di Massimiano | Il Palazzo Imperiale |
| Il Circo | Le Terme Erculee | Gli Horrea | La via Porticata | Il Mausoleo Imperiale | Le Basiliche Ambrosiane |
Il Foro
Il foro era il cuore della vita politica, economica, e religiosa di ogni città romana. Anche Mediolanum dopo due secoli di romanizzazione, quando fu elevata al rango di “municipium” e ottenne il diritto di cittadinanza, ebbe il suo foro, la cui creazione risale all’epoca di Augusto. Lo spazio fu ricavato esattamente all’incrocio tra il “decumano” (identificato con l’attuale corso di Porta Romana, via del Bollo, via Santa Maria Fulcorina e via Santa Maria della Porta) ed il cardo massimo (identificato con le attuali via Manzoni, via Santa Margherita, via Nerino e via Torino).

Fu ricavata una piazza porticata di forma rettangolare, lunga 160 metri e larga 55, sovrastata da una balaustra marmorea ornata di statue. Su entrambi i lati della piazza si aprivano delle “tabernae” e le “cauponae”, i locali in cui i milanesi del tempo consumavano i loro aperitivi. Sul lato orientale del foro vi era invece il “macellum”, ovvero il mercato. In fondo alla piazza, al centro del suo lato più settentrionale (lungo la moderna via Cantù), era forse presente il Capitolium, il tempio che nelle città romane era dedicato alle tre principali divinità dell’Olimpo latino: Giove, Giunone e Minerva, che er ano chiamate, nel complesso, la “Triade Capitolina”.
Purtroppo, gli unici resti del Capitolium consistono in alcuni capitelli di ordine corinzio, trovati negli scavi del secolo scorso.
Ai lati del Capitolium si suppone vi fossero anche una basilica, dove si esercitava l’attività amministrativo-giuridica del senato cittadino, e la curia, paragonabile oggi al moderno municipio di un comune.
Il gruppo scultoreo del Capitolium, raffigurante la Triade Capitolina, determinò in tempi successivi, la dislocazione di alcune costruzioni: dato che nel gruppo scultoreo principale del Capitolium Giove era seduto al centro, con Minerva alla sua destra e Giunone a sinistra, fu deciso di destinare il castello difensivo nord occidentale, che si trovava alla destra del Capitolium, alla funzione di Castra Praetoria, ovvero a sede dei pretoriani, che erano un reparto militare che svolgeva compiti di guardia del corpo dell’imperatore (Minerva è infatti anche la dea della lealtà durante la lotta): la porta verso cui si accedeva a questo castello (che era esterno alle mura cittadine) fu poi chiamata Porta Giovia. La via Porticata, che era situata alla sinistra della statua di Giove e che rivestiva il ruolo di “via trionfale” della città, fu costruita lungo l’ultimo tratto della strada proveniente da Roma, la via Emilia, fuori quindi dalle mura cittadine: Giunone, la cui statua si trovava alla sinistra della figura di Giove, era infatti la dea legata al ciclo lunare dei primitivi popoli italici.
Nel corso dei secoli furono apportati alcuni abbellimenti, che testimoniano la crescente importanza che assumeva la città di Mediolanum. Tra il secondo e il terzo secolo l’ingresso al foro fu reso monumentale con la realizzazione di un arco a un solo grande fornice, decorato con protomi raffiguranti Medusa, Giove e Ammone, che lo rendevano simile a quello del foro romano di Augusto. Tracce archeologiche del foro sono state trovate nei sotterranei della chiesa di San Sepolcro e della Biblioteca Ambrosiana, dove è possibile osservare i resti dell’antica pavimentazione del foro di epoca augustea. Questa pavimentazione, ancora nella collocazione originaria, appare formata da grandi lastre rettangolari di marmo rosso di Verona aventi dimensioni irregolari.
Esse hanno, infatti, ancora la sagomatura originale, che un tempo accompagnava il profilo degli edifici ad esse adiacenti.
Si sono anche conservati alcuni gradini che davano accesso alle botteghe, che si trovavano sotto i portici del foro, e i resti di una canaletta in pietra per lo scarico delle acque meteoriche.
Con l’assunzione del titolo di capitale dell’Impero romano d’Occidente, Mediolanum cambiò fisionomia urbanistica, con il foro romano che perse gradualmente importanza a favore di altre zone della città, come il quartiere del Palazzo imperiale e l’area intorno al Palazzo Arcivescovile. In seguito, le privatizzazioni del suolo pubblico e il passaggio ai vescovi di vaste proprietà demaniali avviarono l’occupazione graduale dell’area dell’ex foro da parte di edifici religiosi: La chiesa del Santo Sepolcro, fondata nel 1099 in occasione della prima crociata, per la cui costruzione furono riutilizzate le stesse lastre in pietra di Verona della vecchia piazza, e la Biblioteca Ambrosiana, risalente al XVI secolo, voluta dal cardinale Federico Borromeo che scelse proprio il luogo-simbolo dell’antica Mediolanum per aprirvi una grande biblioteca pubblica.
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La Zecca
Le prime monete coniate a Milano si ritiene siano state delle dracme in argento emesse dal popolo degli Insubri, di origine celtica, intorno al IV sec. a. C. e nel corso dei secoli sia proseguita la coniazione di monete. Però non esisteva un edificio della Zecca propriamente detto che, invece, venne inaugurato sotto il governo dell’Imperatore Gallieno. Il nome latino era “Moneta” ed era l’officina governativa dove si coniavano le monete in epoca imperiale.

L’Imperatore Gallieno per difendere l’Italia romana dalle invasioni degli Alamanni aveva concentrato intorno a Milano un notevole contingente di truppe e aveva quindi la necessità di avere a disposizione sufficienti risorse economiche per l’approvvigionamento e la remunerazione dell’esercito. Pertanto, fondò a Milano una Zecca, nel 259 – 260, che potesse provvedere alla copertura delle spese militari. Si ritiene che l’edificio si trovasse a fianco del Foro romano, all’incirca dove ora è presente la moderna via Moneta. Le indagini archeologiche non hanno ancora in modo definitivo individuato con sicurezza l’antico edificio presso il quale fu iniziata la coniazione delle monete di Mediolanum.
Certo è che in via Moneta (quest’ultimo toponimo è indicativo della presenza della zecca) agli inizi del XX secolo, durante la costruzione del palazzo della Banca d’Italia, furono riconosciuti i muri in ciottoli di un edificio rettangolare, orientato da NO a SE, secondo l’orientamento del vicino Foro romano di Milano, che potrebbe identificarsi con la prima Zecca di Mediolanum. La Zecca fu chiusa nel 271dall’Imperatore Aureliano, che spostò la produzione di monete a Ticinum (oggi Pavia), coniazione che qui continuò fino al 326. La produzione di monetazione metallica riprese nel 352 con Costanzo II, allo scopo di compensare militari e burocrati e pagare tributi agli “alleati” barbari (foederati), anche in considerazione del fatto che Mediolanum era una delle capitali imperiali. Qui sembra che la coniazione di monete proseguì ininterrottamente sino al 498, poco dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente.
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Il Teatro

Fu il primo grande edificio pubblico eretto a Milano, sul finire del I secolo a. C., durante l’età augustea, quando la città ricevette il riconoscimento di “municipium”. Il foro sarà realizzato un po’ più tardi. L’edificio aveva la forma semicircolare ed era alto 20 metri, quindi, superava le mura della città che erano di soli 9 metri.
La pesante mole del teatro poggiava su una piattaforma fatta con un conglomerato di ciottoli, ghiaia e malta, a sua volta sorretto da centinaia di pali di rovere infissi fittamente nel terreno, lunghi 80-120 centimetri. La cavea aveva un diametro di 95 metri e poteva ospitare tra i 7000 e i 9000 spettatori, in un’epoca in cui Milano contava all’incirca 25000 abitanti. Il teatro sorgeva in una delle zone più agiate dell’antica Mediolanum, come confermano i ritrovamenti di ricche domus romane nelle sue vicinanze.
La costruzione si sviluppava su due livelli con oltre quindici arcate per ciascun livello, le gradinate della cavea erano divise orizzontalmente in due o tre ordini da corridoi e poggiavano su camere inferiori con soffitto a volta, disposte a raggiera intorno alla scena, il “pulpitum”. Un corridoio centrale divideva le gradinate in due settori, permettendo al pubblico di accedere al posto assegnato.
La parete di fondo della scena (frons scaenae) aveva colonne di marmo bianco e in calcare disposte su due o tre piani, tra le quali erano collocate nicchie con statue. Sul retro della scena, un grande porticato coperto rettangolare (porticus post circondava un giardino dove gli spettatori, durante le pause delle rappresentazioni, potevano passeggiare e conversare. I muri del teatro erano rivestiti da lastre di pietra oppure da un intonaco, erano costituiti da file di ciottoli alternate, a file di mattoni.
Gli spettacoli teatrali più graditi al pubblico erano le commedie, le tragedie erano poco apprezzate, mentre le rappresentazioni di mimi e pantomime richiamavano folle di spettatori, soprattutto la farsa burlesca e popolare, farcita di elementi licenziosi. Gli attori e le attrici recitavano senza maschera, e mostravano la loro abilità nel cantare, ballare e gesticolare. Le invenzioni sceniche e i numeri con i mimi erano molto apprezzati. Oltre a svagare e divertire gli spettatori, le rappresentazioni teatrali, promosse soprattutto da Augusto a fini propagandistici, favorivano la diffusione della lingua e della cultura latina.

Le autorità ecclesiastiche, però intorno al V secolo, poichè erano in grado di influenzare i comportamenti collettivi, ostacolarono le rappresentazioni teatrali e i giochi negli anfiteatri. L’ultimo spettacolo di cui ci è giunta notizia è la proclamazione a console, all’interno del teatro, di Manlio Teodoro nel 399. In tale occasione si svolse anche una naumachia. Durante l’età comunale, il teatro venne utilizzato come luogo di ritrovo del senato cittadino. Sarà distrutto da Federico Barbarossa nell’assedio di Milano del 1162.
Il teatro venne totalmente dimenticato, al suo posto sorsero chiese, tra cui la chiesa di San Vittore al Teatro, demolita nel 1911, che nel nome ricorda l’antico edificio romano. Ancora oggi esiste, nel luogo dove sorgeva la chiesa, via San Vittore al Teatro. Dopo 1300 anni, alla fine dell’Ottocento, durante la costruzione di Palazzo Turati, furono scoperti i resti del teatro romano ma non furono riconosciuti. Nel 1929, lì accanto fu costruito Palazzo Mezzanotte, oggi sede della Borsa, i lavori edilizi portarono alla luce altri ruderi antichi che l’archeologa Alda Levi riuscì a identificare come i resti del teatro romano. Altri resti si trovano nei sotterranei della Camera di Commercio che si possono visitare, gratuitamente e previa prenotazione.
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L’Anfiteatro

Anche l’antica Mediolanum come molte altre città romane aveva il suo Anfiteatro. Fu realizzato nel I secolo d. C. aveva un’ellissi di 155 per 125 metri e poteva contenere 20.000 spettatori.
Per le sue dimensioni era il terzo dell’Italia romana, dopo il Colosseo e l’anfiteatro di Capua. Per rispetto a regole, dettate da ragioni di quiete pubblica e di sicurezza, era stato costruito fuori dalle mura cittadine, in prossimità di Porta Ticinese e delle vie di comunicazione principali dirette verso sud, in una zona dove scorreva il ruscello della Vetra (Vettabbia) che serviva per alimentare l’Anfiteatro (abbeveraggio, giochi e pulizia).
Nei pressi vi era anche la grande palestra dei gladiatori, il “Ludus Magnus”. L’anfiteatro era provvisto di una facciata a tre ordini architettonici, in tre stili differenti, dal basso verso l’alto si susseguivano l’ordine Dorico, Ionico, Corinzio. Un attico di coronamento presentava delle mensole forate che sorreggevano i pali del “velarium”, l’enorme copertura in canapa che proteggeva gli spettatori dal sole o dalle intemperie. L’altezza complessiva superava i 38 metri. L’anfiteatro ospitava combattimenti di gladiatori, spettacoli di “venationes” e “naumachie”, per realizzare le battaglie navali occorreva inondare d’acqua l’arena. Il popolo partecipava con entusiasmo e andava in visibilio per le lotte tra gladiatori o tra uomini e belve feroci. Gli scontri qualche volta diventavano l’occasione per esecuzioni capitali, come nel caso dei cristiani. I duelli tra gladiatori non terminavano sempre con la morte di uno dei lottatori. I gladiatori, infatti, erano schiavi o uomini liberi in cerca di facili guadagni che venivano mantenuti per molti anni a spese di un imprenditore, il “lanista” ed erano addestrati da un maestro d’armi affnché si specializzassero nell’uso delle armi da combattimento.

Presso l’anfiteatro sorgeva una caserma (“Ludus”) per l’allenamento prima dei combattimenti. Talvolta era la folla a esigere lo spargimento di sangue, i cadaveri dei vinti venivano trascinati da addetti mascherati da Caronte, fino alla porta “Libitinaria”, l’uscita infausta. I vincitori, invece, diventavano vere e proprie celebrità, ricoperti di gloria e di ricchezze o premiati con la libertà.
Quando l’imperatore Teodosio dichiarò il cristianesimo religione di stato, l’influenza dei seguaci del nuovo culto fece pian piano affievolire l’interesse per i giochi dell’arena e l’anfiteatro rimase inutilizzato e abbandonato divenendo rifugio di vagabondi ed emarginati. Nel corso del V secolo d.C. il monumento venne spogliato dei materiali edilizi dell’anello esterno, i quali furono reimpiegati per nuove costruzioni, come la platea di fondazione della cappella di Sant’Aquilino e la basilica di San Lorenzo, o per rinforzare alcuni tratti della cinta muraria urbana. L’anfiteatro venne, infine, demolito durante un attacco dei barbari alla città.
La datazione della demolizione non è certa: ma comunemente, e con grande probabilità, la si fa risalire al 539 nell’assedio di Milano durante la guerra gotica. Oggi l’area dell’anfiteatro, situata tra le vie De Amicis, via Conca del Naviglio e via Arena è una zona adibita a parco dove è possibile osservare alcuni resti delle fondazioni. È in corso d’opera la realizzazione di un progetto, denominato PAN (Parco Anphiteatrum Naturae) che è stato definito di “archeologia green”, per riqualificare il parco e trasformarlo in un luogo di valorizzazione storica.
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Le Mura di Massimiano
Le mura più antiche di Mediolanum circondavano un’area di circa 70 ettari, e risalivano al 49 a. C., epoca in cui la città aveva ottenuto lo status di “municipium”, che comprendeva il diritto di cittadinanza. L’area urbana aveva la forma quadrangolare con un perimetro di circa 700 metri. Tratti delle mura sono stati identificati lungo le vie San Vito, Paolo da Cannobio, delle Ore, dei Filodrammatici, San Giovanni sul Muro. La muratura aveva un basamento largo più di due metri, formato da quattro file di mattoni legati da malta, alternate a strati di grossi ciottoli pure legati da malta, si innalzavano per circa nove metri.
Le porte che davano accesso alla città si aprivano in corrispondenza degli assi stradali più importanti:
Porta Orientale (o Argentea) in via San Paolo.
Porta Tonsa (Verziere)
Porta Romana (piazza Missori), all’estremità del decumano massimo
Porta Ticinese (al Carrobbio), all’estremità del cardo massimo
Porta Vercellina (Santa Maria alla Porta),
Porta Jovia (o Giovia) (in fondo a via San Giovanni sul Muro)
Porta Comacina (o Cumana o, ancora, Comensis) (in fondo a via Broletto, tra via Cusani e via del Lauro).
Quando Milano divenne capitale dell’Impero Romano d’Occidente, per volere di Massimiano “Erculeo”, la città venne ampliata verso nord-est, fu costruita una nuova cinta di mura poderose, larghe circa quattro metri, dotate di torri poligonali. Le nuove mura inglobavano un vasto territorio a est, comprendendo anche le terme Erculee (tra le attuali: piazza San Babila, corso Europa e piazza Fontana); nella parte sud-occidentale, invece, le mura vennero ampliate per racchiudere anche la zona del circo. Con l’ampliamento delle mura vennero aperte altre tre porte:
L’unica testimonianza di questi ingressi è rappresentata dalla “Porta Ticinensis”, realizzata in corrispondenza della strada che portava verso Pavia (Ticinum). La porta doveva essere a due fornici, di tre metri di ampiezza ciascuno, divisi da un pilastro centrale e fiancheggiati da due torri. La torre romana superstite situata in largo Carrobbio è racchiusa entro strutture moderne, è dotata di base quadrangolare sopra la quale si eleva una struttura poligonale all’esterno e circolare all’interno. La si può osservare entrando nel ristorante che occupa il piano terra dell’edificio. Nel medioevo la torre del Carrobbio era nota come “Torre dei Malsani” poiché era annessa a un lebbrosario.

“Porta Aurea” nell’attuale via Manzoni all’altezza di via Montenapoleone;
“Porta Argentia” a San Babila;
“Porta Herculea” dietro il palazzo di giustizia;
Un tratto di fondazione di tali mura è visibile presso la cantina appartenente ad un noto ristorante di via Manzoni.
Ulteriori tratti di mura massimianee sono osservabili nei sotterranei delle case ubicate al civico 21 e al civico 27 di via Montenapoleone.
Dietro il Museo Archeologico, nel giardino del Monastero Maggiore, in corso Magenta, è ancora ben visibile una delle torri romane che facevano parte del complesso delle mura. All’esterno, tutto intorno alla cinta muraria correva un fossato alimentato dal fiume Seveso.
Alcune immagini dei resti delle antiche mura romane sono visibili sul sito: http://milanoarcheologia.beniculturali.it/?page_id=3861
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Il Palazzo imperiale
Una volta che l’Augusto Massimiano, detto “Erculeo” scelse Milano come centro governativo della parte occidentale dell’impero, vi fece costruire la sua residenza, un palazzo destinato ad ospitare la corte e ad essere un luogo di rappresentanza per ricevere ospiti illustri, dignitari, principi, ambasciatori venuti a fargli visita. Con il termine ‘palazzo’ non dobbiamo intendere un singolo edificio ma un vero e proprio quartiere, autonomo rispetto alla città, dotato di tutti i servizi necessari alla corte, quali terme, luoghi di culto, strutture residenziali, amministrative e militari.

Il complesso delle strutture occupava una vasta area della città, compresa tra il circo e il foro.
Indagini archeologiche, alcuni indizi topografici e toponomastici, hanno permesso di individuare un’area di circa 80.000 m2, in cui era situato il palazzo, tra l’attuale Porta Vercellina e Porta Ticinese, tra il Circo e gli assi viari principali del decumano massimo (S.Maria alla Porta e S.Maria Fulcorina) ed il cardo massimo (Via Torino).
Il palazzo aveva un accesso diretto al circo, in modo che l’imperatore potesse recarvisi senza uscire per strada, pertanto, era stato creato un passaggio coperto e protetto tramite il quale l’imperatore poteva accedere all’adiacente circo.
Tra il 1951 e il 1952, in via Brisa, sono stati portati alla luce dei resti del palazzo che dovevano appartenere ad un edificio di rappresentanza, con un ambiente centrale di forma circolare su cui si aprono altri ambienti absidati forse destinati ai convivi o al riposo.
Tutti gli spazi dovevano essere riscaldati, sono ancora visibili, infatti, i resti del sistema di riscaldamento a “ipocausto”, che consisteva nel far circolare aria calda entro cavità poste nel pavimento e nelle pareti.
Le imponenti murature del Palazzo imperiale sono state rinvenute anche in piazza Mentana.
È stato ipotizzato che al Palazzo fossero collegati degli impianti termali messi in luce in via S.Maria della Valle.

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Il Circo
L’imperatore Massimiano volle che a Mediolanum venisse edificato un circo, per rendere più accogliente la città e richiamare nuovi residenti, ma anche per offrire occasioni di svago e di intrattenimento ai contingenti militari sempre più presenti nell’area milanese.
I circhi erano relativamente rari in Italia, e nel Nord Italia ve ne erano solo due, entrambi dovuti a Massimiano, nelle due città più importanti, uno era a Milano e l’altro ad Aquileia.

Il Circo fu edificato nell’area sudoccidentale della città, sul letto del torrente Nirone, in vicinanza del palazzo imperiale e delle nuove mura. Un passaggio privato permetteva all’imperatore di raggiungere la tribuna, a lui dedicata all’interno del circo, senza dover uscire dal palazzo. La presenza dell’imperatore durante le corse era molto gradita al pubblico, perché in queste occasioni l’imperatore elargiva denaro oppure offriva l’ingresso gratuito agli spettacoli.
Alla gara partecipavano quattro squadre, ciascuna sostenuta da uno o più finanziatori che spesso si contendevano gli aurighi migliori. Le quattro squadre rivali rappresentavano i quattro elementi naturali, i loro colori distintivi erano il verde, il rosso, l’azzurro e il bianco.
Gli spettatori, indossando vesti del colore della propria squadra, esibivano la loro appartenenza ad una determinata tifoseria.
Talvolta a causa del loro fanatismo, sostenitori di differenti squadre provocavano tafferugli e scontri violenti. Gran parte del pubblico era però interessato all’esito delle corse per ragioni economiche, infatti, durante le gare era diffuso un enorme giro di scommesse.
I carri in gara potevano essere trainati da quattro cavalli, “quadrigae” o da due cavalli, “bigae”. Gli aurighi indossavano un caschetto ed altre protezioni per il corpo e si legavano le redini attorno alla vita, consuetudine molto pericolosa poiché in caso di incidente, rimanevano intrappolati e finivano per essere trascinati dai cavalli finché non rimanevano uccisi o riuscivano a liberarsi: per questo motivo portavano con sé un coltello per riuscire a svincolarsi in simili situazioni.
Ogni gara si componeva di sette giri e ogni giorno si disputavano ventiquattro gare. Prima della partenza i carri si disponevano dietro una serie di barriere chiamate “carceres”.

Fiancheggiati da due torri, i “carceres” costituivano un complesso monumentale, che, per analogia con le mura di una città fortificata, era chiamato “oppidum”. Quando tutti i carri erano pronti, l’imperatore lasciava cadere un panno, noto come “mappa”, dando il via alla corsa. Le barriere allora si aprivano tutte insieme, consentendo una partenza alla pari per tutti i partecipanti.
Una volta iniziata la corsa, i carri potevano spostarsi liberamente per la pista per tentare di provocare un incidente ai propri avversari, spingendoli contro la “spina”, il lungo basamento posto al centro della pista, decorato con statue, fontane, edicole o colonne alle cui estremità erano due elementi circolari detti “metae”. E lì, avvenivano spettacolari collisioni, che provocavano la distruzione dei carri e gravi infortuni a cavalli ed aurighi. Tali incidenti erano chiamati “naufragia”.
Gli aurighi che partecipavano alle gare erano generalmente degli schiavi e nel caso che riportassero la vittoria ricevevano in premio una corona di foglie di alloro e, probabilmente anche del denaro; se fossero riusciti a vincere abbastanza corse avrebbero potuto così disporre della somma sufficiente per comprarsi la libertà.
Il circo di Mediolanum era lungo circa 500 metri e largo 85, era utilizzato soprattutto per le corse dei carri, solo raramente per gli spettacoli gladiatori. L’edificio sopravvisse ai saccheggi di Alarico (402), di Attila (452), alla guerra tra Odoacre e Teodorico (terminata nel 493), all’assedio durante la guerra gotica (535-553), all’assedio del re goto Uraia (538-539), all’arrivo dei Longobardi (569), tant’è che nel luglio del 604 vi venne incoronato Adaloaldo, figlio di Agilulfo e Teodolinda, segno che l’imponente edificio si era conservato in buone condizioni. Il circo andò distrutto nell’aprile del 1162, quando Federico I Barbarossa diede l’ordine di radere al suolo Milano e i comuni limitrofi.

Oggi del circo resta visibile un tratto del muro orientale e la torre sinistra dei carceres, inclusa nell’area del civico Museo Archeologico, in corso Magenta. La torre dei carceres era collegata alla torre poligonale della cinta muraria, voluta da Massimiano, attraverso un muro di collegamento. Esso era dotato di un camminamento interno a due livelli collegato direttamente al palazzo imperiale. Non si hanno elementi per ricostruire l’originario coronamento della torre, che doveva essere costituito da una serie di due colonne per ogni lato, asportati successivamente in età altomedioevale (VIII – IX secolo) quando la torre venne rialzata, e trasformata in campanile del monastero Maggiore, con la costruzione di una loggia, oggi ancora conservata.
Le gare del circo richiamavano numerosi appassionati, e in quasi tutte le città dell’impero era presente un circo. Le tifoserie erano distinte in fazioni, non sempre costituite da semplici squadre sportive. Tali fazioni avranno una grande influenza in ambito militare, politico e persino religioso. Ad esempio, la fazione dei Verdi propenderà per il Monofisismo, mentre quella degli Azzurri resterà ortodossa. A volte, l’esaltazione fanatica del circo degenerava in aggressioni criminali che nulla avevano di “sportivo”, ma che piuttosto esprimevano un disagio sociale, malcontento che poi era sfruttato da soggetti politici per provocare tumulti e sommosse, come ad esempio, avverrà nel 532, durante l’impero di Giustiniano I, quando scoppierà la rivolta di “Nika” nell’ippodromo di Costantinopoli. Nell’antica Mediolanum, però, non avvennero mai episodi di tal genere.
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Le Terme Erculee
Uno degli edifici più importanti della Milano romana era il grandioso complesso delle Terme che presero il nome “Erculee” dal soprannome di Massimiano che le fece erigere. Esse ricalgono alla fine del III e l’inizio del IV secolo.

In epoca romana, le terme avevano un’importante funzione igienico sanitaria, non erano solo il luogo dove si tutelava la salute della popolazione, erano anche il luogo di ritrovo e d’incontro dei cittadini.
È naturale che l’imperatore volesse nella capitale un impianto così fondamentale e che fosse degno del suo palazzo. L’impianto termale occupava un’area di 14.500 metri quadrati e fu costruito in quella fascia di territorio incluso di recente con l’ampliamento della cinta muraria, nel luogo in cui scorreva l’Acqualunga, una roggia proveniente da nord-est, le cui acque erano necessarie per l’alimentazione e il ricambio delle vasche termali.
L’imponente struttura era costituita da un ingresso monumentale, con un grande portico o propileo, dal quale si accedeva alla palestra, un grande cortile circondato da un colonnato. Qui si svolgevano esercizi fisici, si giocava alla palla o altri tipi di allenamento. Sui tre lati del porticato erano situate otto esedre dove era possibile accomodarsi per piacevoli conversazioni con gli altri ospiti.
Dalla palestra si poteva accedere agli edifici destinati a un vero e proprio “percorso benessere”, che prevedeva passaggi da ambienti caldi (calidaria) a locali freddi (frigidaria), a vani mantenuti a medie temperature (tepidaria) e includeva gli spogliatoi (apodyteria); i vari ambienti erano collegati da corridoi riscaldati ad ipocausto per il benessere dei frequentatori.
Gli spazi erano organizzati secondo uno schema che prevedeva che gli ambienti principali si trovassero allineati lungo lo stesso asse. Il funzionamento di tale sistema di ambienti a temperature differenti presupponeva un articolato impianto idrico e di riscaldamento.
La struttura complessiva delle terme assomigliava molto a quella delle Terme Imperiali di Treviri, quindi con due percorsi separati e speculari, uno dedicato agli uomini e l’altro alle donne.
Gli ambienti delle terme erano riccamente decorati, furono impiegati marmi e pietre colorati per rivestire pavimenti, pareti, vasche e bacini d’acqua oppure impiegati per la realizzazione di colonne a sottolineare l’importanza del grande edificio pubblico.
I materiali provenivano da molte regioni del Mediterraneo: i marmi verdi dalla Grecia, quelli rossi dall’Egitto e quelli gialli dalla Tunisia, ed erano tra i più pregiati dell’epoca. Nel corso dell’Ottocento, è stato rinvenuto un torso di Ercole, chiaro riferimento a Massimiano Erculeo.
Il busto, che sicuramente faceva parte dell’arredo decorativo di una delle grandi sale del complesso termale, e i pavimenti a mosaico si possono ammirare nel Museo Archeologico di corso Magenta.
Il complesso termale fu gravemente danneggiato da un incendio, provocato forse durante una delle incursioni dei popoli germanici, e fu probabilmente abbandonato nel V secolo.

Con ogni probabilità, i ruderi rimasero a lungo circondati da pascoli, da qui il nome della zona, Pasquirolo, e successivamente riutilizzati per la costruzione di altri edifici. Le terme si trovavano nell’area nordorientale, nei pressi della porta Orientalis, compresa tra gli odierni Corso Europa e Corso Vittorio Emanuele in direzione di piazza San Babila.
Delle terme Erculee rimangono alcuni resti, portati alla luce soprattutto grazie agli scavi effettuati per la costruzione di un parcheggio sotterraneo in largo Corsia dei Servi.
Ora ne resta ben poco, a parte alcuni reperti trasferiti nel Museo Civico Archeologico (vedi recensioni): pochi frammenti di muratura in largo Corsia dei Servi e nel giardinetto, peraltro ben misero, dedicato a Padre Turoldo e un tratto di fondamenta conservato nel seminterrato del Centro Culturale di Milano (vedi recensioni), dove sono protetti da una vetrata.
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Gli Horrea
Resti di antichi “horrea” romani, a Milano, sono stati ritrovati in due punti della città: in via dei Piatti, 11 e in via dei Bossi, 4, dalle parti di via Broletto.
L’“Horreum” era un deposito pubblico in cui venivano immagazzinate le merci prima di essere distribuite, gratis o a prezzo politico, alla plebe. L’ elargizione di derrate alimentari era una consuetudine, prevista dalla legge, varata all’epoca delle riforme sociali di Gaio Sempronio Gracco, tribuno della plebe, sul finire del II secolo a. C.
Se in origine i magazzini erano adibiti alla conservazione dell’orzo, “hordeum” in latino, da cui deriva il termine “horreum”, in seguito furono utilizzati per il deposito di altri tipi di merci.

Dal punto di vista architettonico, gli “horrea” erano edifici caratterizzati da una serie di “cellae” dove venivano stipati i diversi tipi di alimenti e dove alloggiavano gli schiavi incaricati della manutenzione e della custodia degli stessi magazzini. Inoltre, erano dotati spesso di uno o più cortili e di pozzi per l’approvvigionamento delle acque.
A Milano, l’horreum più antico, risale all’età dei Flavi (I sec. d. C.), ed era di tipo “militaria”, destinato al rifornimento delle legioni che presidiavano la Raetia, il Noricum e la Pannonia Superior, il cui approvvigionamento era garantito dall’”annona militaris”, ovvero dalla tassa che le province dell’impero dovevano pagare per il mantenimento dell’esercito romano.
I suoi resti, conservati nei garage di un palazzo in via dei Piatti 11, accanto alla chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, ritrovati tra il 1961 e il 1962, consistono in due tratti di mura lunghi 30 metri, con le fondazioni costituite da strati di ciottoli e malta, ricoperte da due pareti di mattoni.
È stata ritrovata una statua in bronzo, rappresentante la dea Virtus oppure la dea Roma, che forse era parte di un gruppo scultoreo più grande raffigurante un carro. Questo ritrovamento lascia supporre che l’horreum fosse un edificio di una certa importanza.
Adiacente all’horreum è stato rinvenuto un tratto di strada romana.

Massimiano, quando rese Mediolanum capitale imperiale, per ragioni di prestigio, dovette aumentare la distribuzione gratuita di frumento alla plebe locale e realizzò un complesso di horrea situato nei pressi della cerchia muraria, circondata dal fossato che facilitava gli approvvigionamenti di merci.
Gli horrea, i cui resti sono stati ritrovati nell’attuale via dei Bossi, al numero civico 4, nei pressi di via Broletto, sorgevano lungo la strada diretta verso l’antica Novum Comum (Como).
Questa struttura, larga 18 metri e lunga 68, è suddivisa internamente in quattro navate da tre file di sedici pilastri, le facciate interne erano scandite da paraste in laterizi.
A nord una muratura delimitava probabilmente uno spazio aperto collegato ad un secondo magazzino (posto ad occidente), come documentato in analoghi monumenti a Treviri e ad Aquileia.
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La via porticata
La costruzione di una via fiancheggiata da portici fu un’iniziativa promossa dall’imperatore Graziano per bilanciare sul piano politico le iniziative del vescovo Ambrogio che stava realizzando ben quattro basiliche.

Il progetto consisteva in una profonda trasformazione del decumano massimo, oggi corso di Porta Romana, costruendo all’esterno delle mura un prolungamento che aveva su entrambi i lati, dei portici, sotto i quali commercianti, artigiani e bottegai potevano esercitare le loro attività.
La via era simile, quindi, ad un centro commerciale che attirava clienti e consumatori provenienti sia dalla città sia dai borghi limitrofi. La via, costruita tra il 381 e il 382, era lunga 600 metri e terminava con un imponente arco onorario che doveva imprimere un’idea di grandezza e opulenza a chiunque giungesse in città, provenendo da Roma attraverso la via Mediolanum-Placentia. La strada era lastricata e aveva una larghezza di nove metri ed era rialzata di 70 cm rispetto al terreno circostante per prevenire eventuali allagamenti dovuti alla presenza del fiume Seveso, che scorreva nelle sue vicinanze. Per tutta la lunghezza della strada, su entrambi i lati, I portici erano sostenuti da colonne in pietra, mentre i locali di botteghe e negozi erano realizzati in laterizio. Sotto il selciato della via era presente una fognatura che raccoglieva i reflui provenienti dalle botteghe e dai negozi, nonché l’acqua piovana che cadeva sulla strada.

L’arco a tre fornici, posto al limite della strada era rivestito in marmo bianco, ed era situato all’incrocio tra i moderni corso di Porta Romana, corso di Porta Vigentina e via Lamarmora, ovvero in corrispondenza di largo Crocetta, comunemente era conosciuto come arco di Giano.
Dell’intero colonnato sono giunti sino a noi uno dei capitelli dei portici, che è stato incorporato nella basilica di San Nazaro in Brolo, e quattro colonne che sono state in seguito collocate sul retro dell’abside di tale basilica, esternamente all’edificio.
La via porticata, insieme a molti altri monumenti ed edifici storici d’epoca romana, venne depredata e distrutta dalle incursioni germaniche e infine dall’imperatore Federico Barbarossa nel 1162.
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Mausoleo imperiale
Si tratta di una costruzione i cui resti si trovano nell’area dell’antica basilica di San Vittore al Corpo, dove è stata individuata una vasta zona cimiteriale con tombe di epoca romana.

Mancano documenti che possano dare indicazioni precise sulla destinazione e sul periodo di costruzione. Gli esperti suppongono che si tratti di un mausoleo fatto erigere da Massimiano per la propria sepoltura.
Probabilmente, la costruzione avvenne nel periodo tra il 295 e il 313, quando Milano fu scelta dall’imperatore Massimiano come propria residenza e di fatto divenne la capitale dell’impero d’Occidente. In quegli anni, infatti, Massimiano volle espandere la città, che conobbe uno straordinario sviluppo edilizio e urbanistico: furono realizzate le Terme Erculee, l’Horreum, le nuove mura e anche il circo. Niente di strano, dunque, che l’imperatore abbia deciso di far costruire anche il suo mausoleo.
L’edificio aveva la forma di un grande recinto ottagonale fatto di grossi muri di mattoni, con torri semicircolari agli spigoli e porta di accesso fra le torri. Ogni lato del recinto aveva all’interno tre nicchie in cui erano poste delle statue, e le nicchie si aprivano fra semicolonne pensili. L’insieme aveva l’aspetto di una fortezza.

All’interno del recinto c’era un edificio ottagonale del diametro di 20 metri, una struttura imponente, tutta in mattoni, con delle colonne negli angoli interni e le nicchie alternate rettangolari e semicircolari all’esterno. L’interno aveva raffinate tarsie di marmi variati e di paste vitree, un ricco mosaico policromo ne copriva la volta.
Ma questo imponente edificio mancò il suo scopo, Massimiano, infatti, non vi fu mai sepolto, venne ucciso a Marsiglia, nel 313, per ordine di Costantino e non è dato sapere qual sorte abbia avuto la salma.
In quella tomba con tutta probabilità S. Ambrogio collocò in un sepolcro di porfido il corpo di Valentiano II, morto assai giovane a Vienne nel 392.
Il mausoleo imperiale esisteva ancora nel XVI secolo, come ben si nota in un disegno dell’epoca eseguito da un viaggiatore olandese e oggi conservato nel Museo nazionale di Stoccarda.
Ma venne infine abbattuto sul finire del Cinquecento durante i lavori di ampliamento e di rifacimento della basilica di San Vittore.
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Le basiliche paleocristiane e ambrosiane
Gli scarsi i resti archeologici rinvenuti nella zona centrale della città ci dicono che nella primissima fase paleocristiana esistevano a Milano edifici destinati ai riti cristiani.
Le basiliche paleocristiane erano situate nell’attuale Piazza del Duomo e formavano il “complesso episcopale”. I ritrovamenti riguardano i resti del “fonte battesimale di Santo Stefano”, del “battistero di San Giovanni alle Fonti”, e delle due cattedrali, la basilica di “Santa Tecla” (Basilica Nova o Maior), risalente al 350, e la basilica di “Santa Maria Maggiore” (Basilica Vetus o Minor).
Altre chiese sorgevano nelle aree cimiteriali, fuori le mura, come la Basilica “Trium Magorum” (Sant’Eustorgio), che sorgeva lungo la via per Ticinum (Pavia) risalente al 344.
Dopo l’editto di Costantino, con la piena affermazione del Cristianesimo, a Milano furono eretti altri numerosi luoghi di culto. Anche Sant’Ambrogio dispose che fossero costruite delle nuove Basiliche, che volle fossero situate ai quattro angoli della città, lungo le vie più densamente frequentate, fuori dalle mura cittadine, su aree cimiteriali, e volle che fossero dedicate ad alcune categorie di santi:
– La “Basilica Virginum”, dedicata alle vergini, rinominata, poi, basilica di San Simpliciano, lungo la via per Como e la Renania (attuale C.so Garibaldi), a Nord.
– La “Basilica Prophetarum”, dedicata ai profeti, in seguito rinominata basilica di San Dionigi. Nei pressi di Porta Orientale, lungo la via per Venezia, (oggi Giardini di Porta Venezia) ad Est
– La “Basilica Martyrum”, dedicata ai martiri, che divenne in seguito la basilica di Sant’Ambrogio, ad Ovest.
– La “Basilica Apostolorum”, dedicata agli apostoli, che poi prese il nome di Basilica di San Nazaro in Brolo. Lungo la via porticata (attuale C.so di Porta Romana), a Sud.
Erano situate una opposta all’altra, a formare una croce a protezione della città. Esse presidiavano le necropoli cristiane e le memorie dei martiri situate lungo le principali vie d’accesso alla città.

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Basilica Virginum, attuale San Simpliciano
La chiesa di san Simpliciano sorge, ancora oggi, in piazza San Simpliciano, su un lato di Corso Garibaldi. Al tempo di sant’Ambrogio, il luogo dell’attuale chiesa si trovava fuori della Porta Cumensis, in un vasto cimitero pagano, documentato da are votive rinvenute in loco.
Il nome antico della chiesa era “Basilica Virginum”. Sant’Ambrogio avrebbe dedicato la chiesa a Maria e alle sante vergini, per riaffermare il dogma della verginità della Madonna.
La primitiva chiesa paleocristiana aveva una pianta a croce latina e un’unica navata chiusa da un’abside. La copertura era lignea e il pavimento decorato in “opus sectile”[6]

Basilica Prophetarum, poi Chiesa di San Dionigi
In origine si trattava di una chiesetta, dedicata alla memoria “Sanctorum Omnium Prophetarum et Confessorum” e risalirebbe al 381, anno di deposizione della salma di san Dionigi nella cappella.
Sant’Ambrogio avva voluto fondarla per custodirvi le spoglie del suo predecessore, san Dionigi, perché potesse essere meglio onorata dai cristiani milanesi. Nella stessa cappella, nel 475, venne posta anche la salma del vescovo armeno Aurelio, deceduto mentre era di passaggio a Milano.
Le cronache raccontano che nel 1266 di fronte alla chiesa di San Dionigi, si tenne un eccidio di ghibellini, ordinato da Napo Torriani, che fece decapitare 28 esponenti di quella fazione politica, come rappresaglia contro l’uccisione di suo fratello Paganino, nominato da poco podestà di Vercelli.
Nel corso dei tempi, della chiesa di San Dionigi si è persa la memoria. Ma dal 2017 esiste un progetto di ricerca sulle Basiliche extra murarie, messo a punto dalla Soprintendenza alle Belle Arti, Paesaggio e Beni archeologici della Città metropolitana, e finanziato dal Mibact, che ha permesso di aprire un cantiere e di avviare i lavori di scavo, nei giardini pubblici, tra i Bastioni e il Planetario.
Dopo circa un mese, sono emerse le prime tracce della chiesa scomparsa di San Dionigi.
Gli scavi hanno portato in luce un’importante porzione delle antiche murature e consentito per la prima volta di fissare con esattezza la posizione della chiesa

Basilica Martyrum, oggi Basilica di Sant’Ambrogio
Anche questa basilica fu voluta dal vescovo Ambrogio che scelse per la sua costruzione una zona ad ovest, sempre al di fuori delle mura urbane, nel luogo occupato dal cimitero cristiano “Ad Martyres”.
La chiesa fu eretta tra il 379 e il 386 e fu consacrata il 13 gennaio del 386 dallo stesso vescovo di Milano, che la dedicò ai santi martiri in essa sepolti (ovvero i santi Satiro, Vittore, Nabore, Vitale, Felice, Valeria, Gervasio e Protasio.

Nel V secolo, dopo la morte di Ambrogio, ad opera del vescovo Lorenzo, furono
costruite due cappelle funerarie, una delle quali, il cosiddetto “Sacello di San Vittore in ciel d’oro”, ospita le reliquie di san Satiro e san Vittore,

Risale al periodo paleocristiano, anche il cosiddetto “Sarcofago di Stilicone”, della seconda metà del IV secolo d.C. e oggi incluso nel grande ambone[7] romanico.
Si tratta di un grande sarcofago decorato a bassorilievi su tutti i lati.
Non è certo che nel sarcofago sia stato veramente sepolto Stilicone[8].

Dello stesso periodo è anche il Ciborio, ossia la grande edicola architettonica del presbiterio, e il sottostante “Altare di Sant’Ambrogio”.
Il Ciborio è costituito da quattro colonne romane di porfido rosso, i cui capitelli a cesti presentano volute angolari. La struttura superiore è a quattro fastigi timpanati, decorati con stucchi policromi: sulla parte frontale, Cristo consegna a san Pietro le chiavi del Paradiso e a san Paolo il Libro della Sapienza

l’altare d’oro della Basilica di Sant’Ambrogio fu realizzato dal monaco orafo Vuolvinio tra l’854 e l’859; è uno dei più importanti capolavori dell’arte carolingia
La colonna del diavolo

Appena fuori dalla Basilica di Sant’Ambrogio, sul suo lato sinistro, si trova una colonna di epoca romana che ha due fori nella sua parte bassa. Secondo la leggenda sarebbero i segni delle corna del diavolo. Ragion per cui la colonna è da sempre nota come “Colonna del Diavolo”. Si dice che Sant’Ambrogio, dovette subire molteplici tentativi del Diavolo di farlo cadere in tentazione.
Esasperato dai suoi continui fallimenti, Satana provò infine a trafiggere il Santo con le corna, mancando però il bersaglio e finendo per conficcarsi nella colonna. Dopo aver provato per lungo tempo a liberarsi, si trasformò in zolfo e scomparve.
Per questa ragione, secondo la tradizione, avvicinandosi ai fori si sentirebbe odore di zolfo, mentre appoggiandoci sopra l’orecchio si può sentire il rumore dello Stige. Non solo: la notte prima della domenica di Pasqua, si può vedere un carro, guidato da Satana in persona e diretto negli Inferi, che conduce le anime dei dannati destinate a passare l’eternità all’Inferno.
i dice anche che infilare le dita nei fori porti fortuna.
Nella realtà la colonna era usata per l’incoronazione degli imperatori germanici. Per convertirsi al cristianesimo, cosa che avveniva per motivi esclusivamente politici, i sovrani pagani – dopo aver giurato sul messale e indossato la corona di ferro – dovevano abbracciare la colonna a simboleggiare la loro decisione di abbracciare un’altra religione. Cosa che non piaceva al popolo, che vedeva dietro queste conversioni l’intervento del diavolo in persona. Motivo per cui si iniziò a parlare di quella colonna come “del diavolo”.

Basilica Apostolorum, attuale Basilica di San Nazaro in Brolo
La basilica fu edificata per volontà del vescovo Ambrogio intorno al 382. Egli volle che fosse situata al difuori delle mura fortificate della città, di fianco e a metà della via porticata, da qui l’appellativo “in Brolo”, ovvero nel prato. La chiesa ospita le reliquie degli apostoli Andrea, Giovanni e Tommaso, il nome primitivo era , infatti, “Basilica Apostolorum”, nel 395 Ambrogio vi fece trasportare il corpo del martire Nazaro e da allora la chiesa fu dedicata anche a San Nazaro.
É la più antica chiesa a croce latina, realizzata in questa forma per celebrare la risurrezione di Gesù, come testimoniato da un’epigrafe collocata sulle pareti del coro. La forma a croce della pianta, non nota fino a quel momento in Occidente, riprende quella della chiesa degli Apostoli voluta dall’imperatore Costantino a Costantinopoli, sottolinea il legame con quella città, purificata una volta per tutte dall’arianesimo ai tempi di Teodosio, e costituisce per i fedeli il simbolo concreto della vittoria di Cristo. Nel periodo alto medievale, alla chiesa furono aggiunti un campanile, simile a una torre difensiva con feritoie e serramenti, e la Basilicata di San Lino, fatta erigere da Arderico, arcivescovo di Milano, che morì nel 948, forse come suo mausoleo.
In seguito al violento incendio del 30 marzo 1075, che danneggiò le capriate in legno del soffitto, la basilica fu rifatta e ammodernata. Fu realizzato il tiburio, primo esempio di “cupola” in Lombardia e furono aggiunte anche le absidi ai bracci del transetto.
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Attività economiche – decollo durante la tetrarchia
Milano era già abbastanza florida ancor prima di divenire residenza imperiale stabile, ma il nuovo ruolo politico e amministrativo influenzò profondamente l’economia cittadina, che ruotava in larga parte attorno alla presenza dell’apparato statale. Funzionari, soldati e artigiani legati all’esercito costituivano una parte significativa della popolazione attiva. La città ospitava numerose caserme e officine militari, le fabricae, che rappresentavano un’importante fonte di lavoro. Qui operavano fabbri, armaioli e fornitori di materiali, impegnati nella produzione di armi, armature, scudi e di tutto ciò che era necessario all’equipaggiamento dell’esercito romano. La presenza di una corte, di un ceto aristocratico, di un alto numero di funzionari di vari livelli, di capi militari, l’affluenza di artisti e intellettuali creavano una fascia di consumatori esigenti che disponevano di consistenti risorse economiche e potevano circondarsi di beni di lusso.

Ne trassero vantaggio sia le attività produttive locali sia gli scambi commerciali ad ampio raggio.
A Milano gli scambi commerciali erano favoriti dalla presenza di vie d’acqua e di un’ottima rete viaria. Le sue vie di comunicazione la collegavano direttamente a Roma, alla Gallia e alle regioni del Reno e del Danubio, facilitando così lo scambio di merci.
E proprio grazie alla sua posizione centrale, la città era luogo ideale per i numerosi mercati ai quali affluivano merci di ogni tipo.
Nei pressi delle mura cittadine sorgeva un emporium, un mercato, dove queste merci venivano scambiate. Il commercio era, quindi, vivace: circolavano prodotti agricoli, vini, oli, tessuti e oggetti di lusso. Nell’area cittadina si lavoravano i metalli, non solo per produrre utensili, oggetti preziosi ma soprattutto armi. Vi erano, inoltre, officine artigianali del cuoio, di tessuti, di suppellettili di ogni genere.
Si svilupparono numerose botteghe, in cui lavoravano ceramisti, vetrai, tessitori, falegnami e scalpellini.
Milano era, inoltre, un centro edilizio molto attivo: la costruzione di basiliche, terme e nuove fortificazioni richiedeva la continua lavorazione di materiali da costruzione. Anche l’agricoltura era fiorente non meno dell’allevamento del bestiame.
Le campagne circostanti, intensamente coltivate, garantivano l’approvvigionamento alimentare per la popolazione urbana.
Si producevano soprattutto cereali, vino e ortaggi, grazie a un sistema agricolo basato su ville rustiche e latifondi che rifornivano regolarmente la città. Testimonianze relative alla lavorazione dei metalli sono state restituite dagli scavi archeologici.
In alcuni casi sono state trovate tracce di strutture semi industriali, in altri casi di manifatture domestiche.
La grande maggioranza dei rinvenimenti riguarda la lavorazione secondaria (ovvero l’attività di forgia), per la produzione di oggetti finiti a partire dal metallo semilavorato, dal ferro e dalle leghe di rame. In particolare, l’officina di via Puccini testimonia un’attività di forgia.

Sono stati ritrovati crogioli, matrici in terracotta e in pietra e colature di bronzo, insieme a frammenti del rivestimento in argilla dei forni, tutti oggetti utili per la realizzazione di oggetti finiti in leghe di rame. Nel sito dell’Università Cattolica è stato rinvenuto un crogiolo per la lavorazione dell’oro. Invece, nel sito di via Moneta sono state riscontrate tracce di attività di riduzione dei metalli (ossia il procedimento mediante il quale si ottiene il metallo a partire dal suo minerale).
Un caso particolare è rappresentato dalla lavorazione dello zinco. Questo metallo era utilizzato in età romana o sotto forma di ossido, impiegato in preparazioni farmaceutiche, oppure in lega con il rame per la produzione dell’oricalco usato per monete, fibule e altri oggetti.
Una fonte epigrafica attesta in modo indiretto come Milano, almeno nel III secolo d.C., dovesse essere un importante centro per la manifattura delle armi.
Nelle aree pedemontane e nella pianura, vi erano piccole fattorie in cui, oltre alla conduzione del fondo agricolo, gli agricoltori si dedicavano alla manifattura di ceramiche o alimentavano fonderie a carattere domestico. Segnali questi di un relativo benessere dovuto alla benefica influenza della ricchezza economica portata a Milano dalla corte e dagli acquartieramenti delle truppe.
Nella fascia esterna delle mura nordorientali, si trovavano laboratori artigianali per la lavorazione delle pelli, che sfruttavano l’abbondanza delle risorse idriche dell’area.
Nel 2005, il sottosuolo di piazza Meda ha restituito alcune tracce della presenza di un’antica conceria. Si tratta di due vasche in mattoni e di sei strutture in legno interrate di forma circolare. L’ipotesi è che le due vasche fossero collegate da alcune condutture e che al loro interno il pellame grezzo venisse lavato per poi essere trasferito nei contenitori interrati dove avveniva il processo di concia.

Un’altra testimonianza del benessere del tenore di vita ce la fornisce Ambrogio che in una lettera a Ireneo, condannando l’uso dei ricchi di avere servi coperti di monili e con i capelli arricciati, rivela l’esistenza di artigiani di elevata professionalità e nel “De Tobia”, l’accenno al vasellame d’argento artisticamente lavorato, conferma che in città e intorno alla città erano presenti non solo fabbriche d’armi, ma anche officine di artigianato artistico, botteghe di scultura specializzate nella lavorazione del mosaico, delle tarsie marmoree, dell’avorio, orefici in grado di produrre vasellame argenteo finemente decorato a sbalzo e dorato, manifatture di ceramiche e fonderie.
Gli scavi archeologici ci hanno restituito alcuni di questi oggetti: in genere sono a carattere profano, ma non mancano quelli sacri. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla “Patera di Parabiago” un piatto rituale d’argento, datato alla seconda metà del IV secolo. Rinvenuta nel 1907 a Parabiago, è attualmente conservata nel Museo archeologico di Milano. Il prezioso piatto conferma l’esistenza di autentici tesori nelle ville dei ricchi milanesi del IV secolo, ma rivela anche il perdurare nella Milano ambrosiana di culti pagani.
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La società e le dispute religiose
L’equipe di lavoro dell’archeologa Paola Bordigone ha ricostruito un quadro della società milanese in età ambrosiana sulla base di scavi recenti e studi archeologici precedenti. Sono state individuate differenze tra i vari quartieri della città tardo antica relative ai caratteri dell’edilizia residenziale, la localizzazione di botteghe e impianti produttivi. L’indagine svolta permette di stabilire che le diverse zone cittadine ospitavano specifiche fasce sociali. La popolazione di Milano era stimata intorno ai 37.000 abitanti.
La corte imperiale
Il Palatium, la residenza imperiale, era una vera e propria cittadella fortificata di circa 80.000 mq, era collegata al circo e caratterizzata da una struttura complessa, articolata in ambienti residenziali, amministrativi e di rappresentanza, disponeva, inoltre, di un sistema di riscaldamento. Vi dovevano trovare alloggio tutte le componenti civili e militari della corte imperiale, dall’imperatore e la sua famiglia, ai suoi funzionari, dalla guardia imperiale (le scholae palatinae), agli schiavi. Vi dovevano essere anche i burocrati e il personale amministrativo[9]
Gli aristocratici
I potentiores erano una classe sociale influente, caratterizzata da ricchezza e prestigio, spesso legata all’aristocrazia terriera. Le residenze di questa classe si trovavano principalmente nell’area prossima al palazzo imperiale. Scavi recenti hanno documentato l’esistenza di domus con pavimenti preziosi e decorazioni elaborate, come scene di caccia e motivi geometrici.
La domus di via Amedei ha una sala principale di oltre 140 mq con una ricca pavimentazione musiva.
Recenti scavi all’Arengario hanno rivelato ambienti con un cortile e una vasca, risalenti al I secolo. Strutture termali sono state identificate in via Santa Maria Valle, in uso fino al IV secolo.

I milites
Resti di necropoli rinvenuti nell’area di S. Eustorgio e nei cortili dell’Università Cattolica inducono a ritenere che quelle zone dovessero ospitare consistenti reparti militari. “Dall’area di S. Eustorgio provengono almeno tre testimonianze della sepoltura di soldati: un frammento di epitaffio di un soldato del “reggimento degli stranieri” e due frammenti grafiti che riproducono rispettivamente un labaro e uno scudo, e una figura di orante nella quale è stato riconosciuto un soldato o un funzionario della burocrazia imperiale. Quest’immagine indossa un mantello chiuso da una caratteristica fibula “a croce”, tipologia tradizionalmente legata al costume militare.”[10]
Il popolo

Il resto della popolazione risiedeva nel suburbio ed era costituito prevalentemente da artigiani, commercianti, bottegai pronti a soddisfare le richieste della popolazione. La città era al centro di importanti rotte commerciali e vi affluivano merci di pregio e derrate alimentari provenienti da ogni parte dell’Impero. Milano era anche un centro di produzione, eccelleva nella lavorazione dei metalli, ma si realizzavano anche manufatti in vetro e tessuti. L’ambiente cittadino milanese non era solo animato dalle attività lavorative e produttive, vi si svolgeva anche una intensa vita culturale.
Le scuole palatine, legate alla corte imperiale, presso le quali era stato invitato a insegnare sant’Agostino, svolsero un ruolo importante per la diffusione della cultura letteraria e scientifica del tempo. Fu meta di poeti e pensatori.
Gli spettacoli più o meno cruenti dell’anfiteatro, le gare del circo attiravano la presenza di numerosi visitatori provenienti dalle zone limitrofe.
Era quindi una città vivace e attraente, degna di ospitare eventi importanti come il matrimonio di Costanza, sorella di Costantino, con Licinio, Augusto dell’Oriente, avvenuto nel 313.
Costantino, vittorioso dopo la battaglia del Ponte Milvio, era entrato trionfalmente a Roma ma vi rimase pochissimo tempo, dopo un paio di mesi, già nel gennaio del 313, si diresse a Milano, città scelta per il matrimonio di Licinio con la sorella Costanza.
Non abbiamo fonti dettagliate sulla cerimonia in sé, ma considerando il rango degli sposi e l’importanza politica dell’evento, è molto probabile che sia stata una cerimonia sontuosa, alla presenza delle élite romane. Il matrimonio fu parte di una strategia diplomatica di Costantino per rafforzare i legami con Licinio e garantire una stabilità politica in un periodo di transizione e tensioni interne.
Il matrimonio fu anche l’occasione che Costantino colse per discutere con Licinio e concordare una politica religiosa comune.
Da questo incontro nacque il celebre Editto di Milano, che sancì la fine delle persecuzioni contro i cristiani e garantì la libertà di culto in tutto l’Impero.
La comunità cristiana milanese, guidata inizialmente da vescovi filo niceni[11] crebbe e si diffuse rapidamente ma non mancarono le controversie religiose derivanti dalla consistente presenza di credenti nella dottrina ariana, che negava la natura divina di Cristo, specialmente tra le famiglie di ceto elevato e perfino nella famiglia imperiale. Le dispute tra ariani e cattolici causarono tensioni e scontri teologici. I cristiani milanesi furono, inoltre, coinvolti nelle dispute dottrinali sul donatismo, che verteva sulla validità dei sacramenti amministrati da coloro che avevano tradito il cristianesimo durante le persecuzioni.
Nel periodo 345 – 347, durante la presenza stabile dell’Imperatore Costanzo II, furono convocati due concili per discutere della natura divina di Gesù e della sua consustanzialità con il Padre, in contrapposizione all’arianesimo, che negava tali dogmi e che venne ripetutamente ripudiato.

Gli ariani riuscirono tuttavia a prevalere quando nel 355 Aussenzio fu nominato vescovo con l’appoggio dell’imperatore Costanzo II e dell’imperatrice Eusebia, favorevoli al partito ariano. Quando, alla sua morte, nel 374, fu eletto vescovo Ambrogio, tornò ad affermarsi la comunità dei cattolici. L’operato del vescovo Ambrogio fu determinante per il consolidamento del cristianesimo nella versione approvata dal Concilio di Nicea. Debellare l’eresia ariana fu il principale obiettivo di Ambrogio e nella sua determinazione il prelato giunse a uno scontro diretto con l’imperatrice madre Giustina[12] riguardo alle chiese da destinare agli ariani.
In questa circostanza fu evidente lo scontro tra potere ecclesiastico e potere imperiale. Graziano era stato un imperatore cattolico, ma alla sua morte fu destinato a succedergli il fratello Valentiniano II, che fin dall’età di quattro anni era stato proclamato Augusto dal padre Valentiniano I. Durante la minore età dell’imperatore, la reggenza fu assunta dalla madre Giustina.
Costei era di religione ariana e volle, perciò, assegnare agli ariani la Basilica Portiana (oggi, S. Vittore al Corpo), che era una basilica cattolica. Il vescovo Ambrogio si oppose energicamente all’imperatrice madre Giustina, difendendo la Chiesa di Milano e sostenendo la posizione cattolica. La contesa della basilica si svolse, durante la Settimana Santa e fu provocata dalla comunità ariana che aveva la necessità di disporre di una basilica per la liturgia pasquale che comprendesse la cerimonia battesimale.
Per evitare l’occupazione della basilica da parte degli ariani, Ambrogio chiamò a pregare nella basilica tutto il popolo, che a Milano era a maggioranza cattolica. Giustina ordinò all’esercito di disporsi Intorno alla Basilica Portiana e di imporre lo sgombero minacciando una strage. Per attenuare la fortissima tensione, sant’Ambrogio cominciò ad intonare canti di lode a Dio, composti da lui stesso.
“Inni” che ancora oggi vengono intonati durante le celebrazioni religiose. Quel giorno, era il Giovedì Santo del 386, improvvisamente, mentre il vescovo, nella basilica, spiegava il libro di Giona, una folla plaudente irruppe recando la notizia che l’imperatore aveva revocato l’assedio, e che aveva stabilito di restituire le multe imposte ad alcune classi di cittadini di alto ceto, che sostenevano Ambrogio.
La determinazione del vescovo, unita allo stragrande favore popolare, volse la situazione a favore della Chiesa cattolica.
A Milano visse e si convertì al cristianesimo Agostino d’Ippona, dopo aver ascoltato le prediche di Ambrogio, come egli stesso narra nelle “Confessioni”. Milano fu quindi anche una tappa fondamentale nella formazione del pensiero agostiniano, che avrebbe influenzato tutto il medioevo. La cultura classica era ancora viva nel IV secolo: si studiavano i testi di Cicerone, Virgilio e Seneca.
Tuttavia, vi era una graduale transizione dalla cultura pagana a quella cristiana, spesso con tensioni (es. distruzione di templi pagani o polemiche tra cristiani e pagani). L’educazione rimaneva ancorata alla retorica e alla grammatica, ma con sempre più contenuti cristiani. Dunque, nel IV secolo Milano fu un crocevia culturale tra mondo classico e cristiano, tra oriente e occidente, tra politica e fede. La sua centralità fu dovuta, oltre che alla posizione geografica favorevole agli scambi, alla presenza dell’autorità imperiale, alla forza del vescovado di Ambrogio e al ruolo di ponte culturale in un’epoca di grande trasformazione.
Per centosedici anni la Milano romana manterrà il volto di una grande e prospera città ma il declino cominciò a manifestarsi in seguito ad una serie di eventi avversi: L’uccisione del giovane imperatore Graziano, che Ambrogio amò come un figlio. I tentativi, respinti, di usurpazione di Magno Massimo prima e di Eugenio e Arbogaste dopo. Teodosio riuscirà a ripristinare l’ordine e la pace ma durerà poco. Morto Teodosio, il 17 gennaio 395 e morto Ambrogio il 4 aprile 397, entrambi a Milano, i confini dell’impero, che tanto a lungo e tanto faticosamente erano stati protetti, si sfalderanno definitivamente, con l’invasione nel 402 dei Visigoti. Saranno arrestati sull’Adda da Stilicone, ma nello stesso anno, il nuovo imperatore d’Occidente, Onorio, trasferirà la residenza imperiale a Ravenna, ritenendola più adatta, sostanzialmente per due motivi: era meglio difendibile dagli attacchi delle orde germaniche, la vicinanza al mare rendeva più agevole una fuga repentina verso l’Oriente.
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Bibliografia
Ammiano Marcellino, Res Gestae – storico del IV secolo, racconta eventi politici e militari con riferimenti a Milano.
– “Milano Romana” di Aldo A. Settia – Un libro che esplora la storia di Milano durante l’Impero Romano.
– “L’Impero Romano d’Occidente” di Peter Heather – Per comprendere il contesto più ampio in cui Milano ha operato come capitale.
– “Sant’Ambrogio e la Milano Imperiale” di Marta Sordi – Approfondisce il ruolo della città nella cristianizzazione dell’Impero.
– Felice Poggi – Idrografia nei dintorni di Milano nell’era romana – Milano – 1911 –
Siti:
– http://milanoarcheologia.beniculturali.it/?page_id=4354) – Un sito archeologico che conserva i resti della residenza imperiale di Massimiano.
– https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_imperiale_romano_di_Milano) – Una panoramica storica dettagliata sulla funzione e l’importanza del palazzo imperiale.
– https://museomilano.org/la-storia-di-milano-400ac-1400/) – Un approfondimento sulla trasformazione di Mediolanum in capitale imperiale e il suo impatto culturale.
– https://www.romanoimpero.com/2010/07/mediolanum-milano-lombardia.html) – Un’analisi storica sulla fondazione e l’evoluzione di Milano nell’epoca romana.
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28 ottobre 2025