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Un racconto storico d’invenzione di Marguerite Yourcenar, ambientato nel primo ‘600: ‘Un uomo oscuro’ (1983)

Di Maurizio Gusso

Questo scritto si articola in sette paragrafi.
Il primo esplicita i motivi dell’invito alla (ri)lettura del racconto lungo Un uomo oscuro (1982) di Marguerite Yourcenar [1].
Il secondo ne riassume la trama.
Il terzo ne presenta la genesi e le principali edizioni francesi e traduzioni italiane.
Il quarto riporta la postfazione (1982) a Un uomo oscuro, in cui M. Yourcenar ne ricostruisce la genesi.
Il quinto suggerisce alcune piste per un approfondimento del racconto come fonte storica.
Il sesto è una breve antologia di passi di Un uomo oscuro.
Il settimo è costituito dalle mie Note ai sei paragrafi precedenti.

1 – Invito alla (ri)lettura
Propongo di leggere (o rileggere) e approfondire Un uomo oscuro per vari motivi sia culturali (letterari e storici), sia didattici.
Anzitutto, il racconto permette di approfondire una questione di metodo storiograficamente e didatticamente assai rilevante come quella dei ‘soggetti della storia’ [2], ampliandone lo spettro a individui e gruppi sociali di solito non collocati al centro né delle rappresentazioni letterarie, né delle ricerche storiche. Infatti, ha per protagonista non un famoso personaggio storico appartenente ai gruppi sociali ‘dominanti’ (come l’imperatore romano eponimo del romanzo di M. Yourcenar, Memorie di Adriano) [3], né un intellettuale contro corrente, immaginario, anche se su uno sfondo storico accurato (come Zénon Ligre, al centro del romanzo di M. Yourcenar, L’Opera al nero) [4], bensì un immaginario “uomo oscuro”, anello di congiunzione fra proletari e marginali [5], da una parte, e ceti colti dall’altra. Si tratta di Nathanaël Adriansen (d’ora in poi Nathanaël), nato in Inghilterra da una coppia di olandesi immigrati, figlio e fratello di carpentieri che lavoravano nei cantieri navali di Greenwich [6] per il Lord dell’Ammiragliato inglese [7], ma, in quanto gracile e leggermente zoppo, ritenuto inadatto a fare il carpentiere e affidato a un maestro di scuola in cambio dei lavori di casa; passeggero clandestino e aiutante di un cuoco meticcio su un veliero inglese diretto in Giamaica [8]; marinaio e unico superstite del naufragio di una fregata corsara inglese nell’Isola Perduta [9] sulla costa atlantica dell’America nordorientale e poi contadino e genero della coppia anglofrancese che l’ospita; marinaio su un bastimento inglese di ritorno in Inghilterra; correttore di bozze presso uno zio stampatore ad Amsterdam; domestico di un ex borgomastro di Amsterdam; guardiano di una casetta dell’ex borgomastro in un’isola della Frisia, fino alla morte.
In secondo luogo, di particolare interesse, oltre all’ambientazione socioeconomica, culturale e politica, è quella geostorica, euramericana e atlantica, in piena età moderna (prima metà del ‘600, età d’oro olandese e inglese): un villaggio marinaro vicino a Greenwich, nel Regno d’Inghilterra; alcune rotte navali atlantiche; i Caraibi (Giamaica); la costa atlantica dell’America nordorientale e in particolare l’Isola dei Monti Deserti [10] e l’Isola Perduta, fra coloni inglesi e francesi e popolazioni autoctone Micmac [11] e Abenaki [12]; Amsterdam; una piccola isola della Frisia olandese. Notevoli sono anche le forme di convivenza/conflitto fra specie (umana, animale e vegetale) e comunità/culture diverse: la presenza a Greenwich di alcune famiglie di carpentieri olandesi; la convivenza di francesi, inglesi, Micmac e Abenaki nell’Isola Perduta; la compresenza delle comunità calvinista, cattolica ed ebraica ad Amsterdam; i rapporti pacifici fra Nathanaël e gli animali nell’Isola Perduta e nell’isola della Frisia.
Inoltre, si tratta, almeno in parte, di un ‘racconto storico di invenzione/finzione’ [13], in cui è interessante provare a distinguere elementi storici e di finzione, con un approccio integrato/interdisciplinare linguistico-letterario e storico [14].
Infine, come vedremo nei paragrafi 3 e 4 di questo scritto, Un uomo oscuro, analogamente ad altri testi narrativi di M. Yourcenar, quali Memorie di Adriano e L’Opera al nero, ha una genesi e uno sviluppo accidentati e complessi [15], particolarmente interessanti per la sua analisi come fonte storica e per la sua contestualizzazione nella storia dell’attività letteraria di M. Yourcenar (per non parlare della storia della letteratura francofona) e nella sua stessa biografia [16]. Infatti, l’unico avvenimento storico puntuale a cui il racconto faccia un riferimento circostanziato (un attacco di corsari inglesi a un insediamento di gesuiti francesi) [17] si svolse proprio in quell’isola dei Monti Deserti, in cui Marguerite Yourcenar visse, nella residenza della Petite Plaisance di Northeast Harbor, prima, fra il 1950 e il 1979, con la sua traduttrice e compagna statunitense Grace Frick [18], poi, fra il 1980 e il 1986, nelle pause fra molti viaggi in giro per il mondo, con il fotografo statunitense Jerry Wilson [19], e in cui si trovano le tombe di Grace, Jerry e
Marguerite, nel cimitero Brookside di Somesville.

2La trama di Un uomo oscuro
Nathanaël Adriansen nasce in un villaggio marinaro, a valle di Greenwich (Regno d’Inghilterra), da una coppia di immigrati olandesi: la madre è una pia donna di casa, mentre il padre Johan è uno dei carpentieri olandesi venuti lì a lavorare per il Lord dell’Ammiragliato. Nathanaël, gracile e leggermente zoppo, invece che a fare il carpentiere come i suoi due fratelli maggiori, viene inviato a studiare da un maestro di scuola del vicinato, in cambio di un aiuto nei lavori di casa e nel giardino.
A 15 anni inizia a fare all’amore con la coetanea Janet, apprendista presso un tappezziere. Una domenica sera di maggio, un commerciante in equipaggiamenti e attrezzature marittime, un beone che da qualche tempo rivolgeva a Janet proposte oscene frammiste a minacce, sbarra la strada alla coppia, di cui aveva spiato le effusioni. Janet fugge; il beone rivolge le sue proposte a Nathanaël, che, per respingerlo, lo colpisce con una pietra in pieno viso e, temendo di averlo ferito mortalmente, si nasconde nella stiva di un veliero, che all’alba successiva salpa per la Giamaica. Dopo due giorni e tre notti, per la fame, chiama debolmente alcuni marinai scesi nella stiva, che, per scherzo propongono di buttarlo in mare, ma passa sotto la protezione di un cuoco meticcio giamaicano, da cui accetta l’intimità. Il meticcio viene accoltellato a un occhio in una rissa in Giamaica, muore a bordo lungo la tratta per Barbados [20] e viene sostituito come cuoco da Nathanaël, che, però, a Santo Domingo [21] si arruola come marinaio sulla Tethys, una fregata corsara inglese in azione contro i coloni francesi del Canada. Nell’isola dei Monti Deserti, gli inglesi feriscono a morte due gesuiti francesi. Nathanaël soccorre padre Angelo Guertin [22], che, prima di spirare, in latino (lingua che Nathanaël parla un po’) gli chiede di avvertire della sua morte la madre e la sorella tramite il suo superiore al Seminario di Annecy [23].
Poco dopo, più a nord-est, la fregata naufraga sull’Isola Perduta; Nathanaël, il solo sopravvissuto, viene ospitato da una coppia anglo-francese, con una figlia da marito, Foy, e un figlio scemo, senza nome. Con la benedizione dei genitori, Nathanaël convive con Foy, fino alla sua morte per una malattia polmonare, all’inizio di ottobre.
Nell’estate successiva s’imbarca su un bastimento inglese di passaggio. Scende al porto inglese di Gravesend [24], da cui rientra a piedi (dopo quattro anni) a Greenwich, dove scopre che suo padre è morto, il commerciante beone è sopravvissuto senza denunciare l’aggressione e Janet si è sposata con un mercante di stoffe di Londra. La madre suggerisce a Nathanaël di andare ad Amsterdam a reclamare la sua parte dei pochi averi di famiglia dal loro amministratore, lo zio Elia Adriansen, stampatore.
Ad Amsterdam lo zio Elia lo assume come correttore di bozze. Nathanaël si insedia in una bicocca del vicolo Verde, vicino al porto, e diviene amante e sposo dell’ebrea Saraï, cantante di un musico locale, prostituta e ladra, che, rimasta incinta, l’abbandona per andare a partorire Lazzaro, nella Judenstraat, da sua ‘madre’, Mevrouw [25] Loubah/Léah, commerciante di vestiti ed ex-tenutaria. Dopo la nascita di Lazzaro, affidato a una nutrice perché Sara aveva troppo poco latte, Nathanaël chiede la propria parte dei beni di famiglia a Elia, che gliela dà, ma con la clausola che l’importo comprende anche tutte le somme dovute ai suoi familiari. Una sera, Nathanaël, reduce dalla sua bronchite annuale, dopo aver portato a Leo Belmonte (un autore ebreo che abita in via dei Ferraioli, al confine fra i quartieri ebraico e cristiano di Amsterdam) una bozza dei suoi Prolegomeni, passa da Léah, benché non sia uno
dei suoi abituali giorni di visita, vi scopre Saraï mentre deruba un cliente con cui sta amoreggiando in una stanza in fondo alla bottega di Léah. Sconvolto, abbandona la bicocca del vicolo Verde, ma, non trovando ospitalità da nessuno, durante una nevicata, si rifugia per dormire nella rientranza di un muro fra due belle case nuove di una bella strada, ma si risveglia, ammalato di pleurite, in un ospedale, salvato dalla morte per polmonite da Mevrouw Clara, governante del signor Gerrit Van Herzog, ex borgomastro di Amsterdam, che lo ospita durante la convalescenza. Viene assunto come domestico da Van Herzog, che vive con una figlia vedova, la signora Madeleine d’Ailly, di cui Nathanaël s’innamora (solo platonicamente, date le distanze sociali). Un giorno d’estate, Van Herzog invia Nathanaël a portare a Belmonte un suo biglietto di sollecito della consegna di un suo nuovo libro ‘sovversivo’, di cui i Prolegomeni (banditi dagli ebrei e vilipesi dai predicatori olandesi) costituivano solo l’introduzione.
Belmonte parla a lungo della sua opera a Nathanaël, chiedendogli le sue impressioni di lettura dei Prolegomeni e dicendogli di ripassare il martedì successivo per ritirare il nuovo lavoro. Il mercoledì della settimana successiva, un diciassette di agosto, Nathanaël apprende dalla proprietaria dell’appartamento di Belmonte che questi era morto la sera di otto giorni prima e che la sua figlia “bastarda” aveva gettato in un canale tutti i suoi manoscritti, considerati pericolosi. Nel novembre successivo compra
un cucciolo spaniel da una borghese di mezza età che stava per sacrificarlo a una tigre delle Indie, in mostra in un baraccone della Kalverstraat, lo chiama Salvato e lo regala alla signora d’Ailly.
A dicembre Nathanaël ha un altro attacco di pleurite; il giorno dell’Epifania successiva ha uno sbocco di sangue. Mevrouw Clara lo rimette a letto con prescrizioni severe.
Van Herzog e i domestici lo trattano con attenzione, gli affidano incarichi leggeri, ma si tengono a debita distanza dalla sua tosse, per paura del contagio. Nel marzo successivo Van Herzog lo invita a occuparsi della casetta che il nipote Hendrick usa come base nella stagione della caccia, in una piccola isola della Frisia (Olanda settentrionale), per metà proprietà dell’ex borgomastro, proponendogli di tornare, guarito, a ottobre con il nipote, una volta terminata l’attività venatoria. Alla vigilia della partenza, la signora d’Ailly si accomiata da lui con un leggero bacio sulla bocca.
In battello, lungo il percorso per Horn [26] attraverso lo Zuiderzee [27], Nathanaël apprende che Saraï, condannata per furto, è stata impiccata a Nimega [28]. Allo scalo seguente, un vecchio contadino-battelliere di terraferma, Wilhelm, viene a prenderlo per accompagnarlo, prima con un carretto e poi in barca, sull’isola e alla casetta, dove ogni settimana viene a portargli i viveri. Tuttavia, Van Herzog scrive a Nathanaël che Hendrick, chiamato a Brema [29] per affari, non verrà quell’autunno nell’isola e gli propone di riprendere servizio ad Amsterdam all’inizio di novembre; ma Nathanaël, sentendo arrivare la morte, come gli animali, si cerca un luogo appartato dove morire, solo, in mezzo alla natura.

3 – Genesi e varie edizioni del racconto Un homme obscur
Un homme obscur è stato pubblicato per la prima volta nelle pp. 77-206 della raccolta di tre racconti di M. Yourcenar, Comme l’eau qui coule. Anna, soror… Un homme obscur. Une belle matinée, Gallimard, Parigi, 1982, con una postface (postfazione) intitolata Un homme obscur, a pp. 254-261 delle Postfaces (pp. 239-266). La postface (pp. 241-253, con l’aggiunta, a pp. 265-266 delle Notes de la postface d’‘Anna, soror…’) d’Anna, soror… (pp. 7-75) è datata alla fine “Taroudant, Maroc, 5-11 mars 1981” (p. 253); quella di Un homme obscur non è datata, mentre la postface (pp. 262-263) d’Une belle matinée (pp. 207-237) reca come datazione finale “Cintra,
2 mars – 5 mars 1981” (p. 263). La raccolta Comme l’eau qui coule è stata ripubblicata in M. Yourcenar, Œuvres romanesques, Gallimard, Parigi, 1982, in quest’ordine: Anna, soror… (pp. 853-901); Un homme obscur (pp. 903-1000); Une belle matinée (pp. 1001-1021); Postface (pp. 1023-1038) relativa ad Anna, soror… (pp. 1024-1032), Un homme obscur (pp. 1032-1037) e Une belle matinée (pp. 1037-1038) e seguita da Notes d’‘Anna , soror…’ (pp. 1039-1040).
La sua prima traduzione italiana, di Maria Caronia, Un uomo oscuro si trova in M. Yourcenar, Come l’acqua che scorre. Tre racconti, Einaudi, Torino, 1983 (ed. più recente: ivi, 2014), pp. 61-172, con una postfazione intitolata Un uomo oscuro e datata “Cintra, 2-5 marzo 1981” (p. 215), a pp. 211-215 delle Postfazioni (pp. 199-217), mentre la postfazione (pp. 201-210, con le note a piè di pagina incorporate nel testo) ad Anna, soror… (pp. 3-59) conferma la datazione “Taroudant (Marocco), 5-11 marzo 1981” (p. 210) e la postfazione (pp. 216-217) a Una bella mattina (pp. 173-198) riporta alla fine la datazione “New York – Parigi, ottobre 1981” (p. 217).
La stessa traduzione di Come l’acqua che scorre è stata ripubblicata in M. Yourcenar, Opere… cit., pp. 907-1088, in quest’ordine: Anna, soror… (pp. 907-959); Un uomo oscuro seguito da Una bella mattina (pp. 961-1088), articolato in Un uomo oscuro (pp. 963-1065) e Una bella mattina (pp. 1067-1088); Postfazioni (pp. 1089-1107), articolate in Anna, soror… (pp. 1089-1099), Un uomo oscuro (pp. 1099-1104), Una bella mattina (pp. 1104-1106) e Note di ‘Anna, soror…’ (pp. 1106-1107).
Una prima versione d’Un homme obscur, più breve e intitolata D’après Rembrandt [Da Rembrandt] [30] era stata pubblicata nel 1934 (Bernard Grasset, Parigi) come terzo racconto (pp. 171-239) nel trittico La Mort conduit l’attelage [La Morte guida il carro], dopo D’après Dürer (pp. 11-82; prima versione de L’Œuvre au Noir) e D’après Greco (pp. 83-170; prima versione di Anna, soror…), ma fu riscritta totalmente nel 1979-1981.
“I tre racconti […] non erano del resto che tre frammenti isolati di un enorme romanzo concepito e in parte febbrilmente compilato tra il 1921 e il 1925 […]. Da quel che avrebbe dovuto essere un vasto affresco romanzato, svolgentesi su un arco di parecchi secoli e riguardante numerosi gruppi umani uniti tra loro da legami sia di sangue sia di spirito, la quarantina di pagine inizialmente intitolate semplicemente Zénon costituivano il primo capitolo. Codesto romanzo troppo ambizioso procedette per qualche tempo di pari passo con i primi abbozzi di un’altra opera, destinata più tardi a diventare le Memorie di Adriano. Rinunciai provvisoriamente all’uno e all’altro verso il 1926, e i tre frammenti già citati, divenuti da soli La Mort conduit l’attelage, furono dati alle stampe quasi immutati nel 1934, con la sola aggiunta, per quanto attiene all’episodio di Zénon, di una decina di pagine assai più recenti, conciso schizzo
dell’incontro di Henri-Maximilien [31] e di Zénon a Innsbruck nell’odierna Opera al nero” (M. Yourcenar, Nota dell’autrice a L’Opera al nero, in M. Yourcenar, Opere… cit., pp. 891-905, cit. a pp. 891-892) [32].
“Le titre du premier récit dans le volume paru en 1934 avait le tort, comme d’ailleurs ceux des deux autres nouvelles du meme recueil, de présenter ces récits comme imitant systématiquement l’œuvre de trois peintres, ce qui n’était pas le cas” [33]: M.
Yourcenar, Note de l’auteur a L’Œuvre au noir, in Ead., Œuvres romanesques cit., pp. 837-850, cit. nella nota contrassegnata da asterisco a p. 838.
Secondo Manuela Ledesma, “[…] quant aux événements racontés dans D’après Rembrandt, nous constatons qu’ils se sont passés entre les dernières années du siècle et l’année 1614, date à laquelle a vraisembablement lieu la fuite de Lazare” [34] (M. Ledesma, La mort conduit l’attelage: trois textes virtuels, “Bulletin” della SIEY (Société Internationale d’Études Yourcenariennes), 1997, n. 18, pp. 39-64, cit. a p. 40).
Fra le differenze principali tra D’après Rembrandt e Un homme obscur vanno ricordate la trasformazione di Nathanaël da operaio-predicatore calvinista in figlio di un carpentiere dei cantieri navali dell’Ammiragliato inglese di Greenwich, studente, poi marinaio, colono contadino, correttore di bozze e domestico; tutte le vicende americane del protagonista; la sostituzione in Sarah della vocazione ‘servile’ con l’identità di cantante di “musico”, prostituta e ladra, coerente fino allo spavaldo comportamento sul patibolo [35]; la sostituzione del finale di D’après Rembrandt (morte di Nathanaël all’Hotel Dieu d’Amsterdam, in seguito all’aggravarsi della sua pleurite dopo una camminata sotto una fitta nevicata) [36] con il salvataggio del protagonista (svenuto sotto la fitta nevicata) da parte di Mevrouw Clara, seguito, nell’ultima parte de L’homme obscur, dal servizio presso Van Herzog di Nathanaël, dal suo incontro e dialogo con Belmonte (parzialmente anticipato in D’après Rembrandt dal personaggio del matematico Francus Leuwee, scomparso ne L’homme obscur) [37] e dal trasferimento e dalla morte del protagonista in un’isola della Frisia.

4 – La genesi del racconto nella Postfazione di Marguerite Yourcenar a Un uomo oscuro
“Il secondo racconto dell’attuale raccolta, Un uomo oscuro, racconto lungo o romanzo breve, e Una bella mattina, fantasia di poche pagine, derivano entrambe dall’esangue scritto del 1935 D’après Rembrandt che anni prima, nella sua forma inedita, si era chiamato Nathanaël. Letto e riletto molte volte nel 1979, questo testo evanescente, uno dei miei primi, perché lo scrissi verso i vent’anni e non lo ritoccai che superficialmente in seguito, si rivelò assolutamente inutilizzabile. Non ne rimane una sola riga, ma conteneva tuttavia dei semi che hanno finito per germogliare dopo molte stagioni. I due racconti furono scritti nel 1980-81.
La prima idea del personaggio di Nathanaël è quasi contemporanea a quella di Zénon: molto giovane, e con una precocità che stupisce me stessa, avevo immaginato due uomini, che vedevo profilarsi vagamente sullo sfondo dei Paesi Bassi di una volta: l’uno, violentemente lanciato alla ricerca della conoscenza, avido di tutto quanto la vita avrà da insegnargli, se non da dargli, permeato di tutte le culture e le filosofie del suo tempo, eppure rifiutandole per costruirsi faticosamente le proprie; l’altro, che in
un certo senso ‘si lascia vivere’, insieme resistente e indolente fino alla passività, quasi incolto, ma dotato di un’anima limpida e di una intelligenza giusta che lo distolgono, come per istinto, dal falso e dall’inutile, e che muore giovane senza lamentarsi e senza troppo stupirsi, come è vissuto.
Fin dall’abbozzo dei miei vent’anni, avevo fatto di Nathanaël il figlio di un falegname, con una certa allusione a colui che si proclamava il Figlio dell’Uomo. Questa nozione non si ritrova più in Un uomo oscuro, o solamente in modo vago, e nel senso quasi
convenzionale per cui ogni uomo è un Cristo. Fin dall’inizio avevo situato Nathanaël in Olanda, paese di cui molto presto ho conosciuto alcune regioni, e nell’Olanda del secolo XVII, che tutti abbiamo visitato attraverso i suoi pittori. Ma non per questo quel
racconto d’altri tempi era privo di imprecisione e falsità, e ciò per ragioni semplicissime: avevo deciso di fare di Nathanaël un operaio senza sapere nulla della vita degli operai della mia epoca, e ancora meno di quelli del passato. Ignoravo quasi
tutto sulla miseria delle città; ero troppo inesperta rispetto ai grandi compromessi e alle piccole sconfitte quotidiane di ogni esistenza. Così com’è ancora nell’ultima versione del racconto, immaginavo che Nathanaël, già colpito da una malattia dei
polmoni, trovasse un lavoro sedentario presso un libraio di Amsterdam, ma non mi ero preoccupata di ricercare da dove gli derivavano le poche conoscenze necessarie al suo impiego di correttore di bozze. Come nell’ultima versione, gli facevo sposare
un’ebrea di un musico, ma questo ritratto di prostituta tracciato da una giovane che conosceva ancora male le donne, era tuttalpiù un profilo incompleto: le mancava quell’elemento unico che distingue ogni creatura, e che l’amore rivela al primo istante a degli occhi innamorati. Alla fine, dopo una lunga passeggiata desolata per le strade di Amsterdam, Nathanaël, sfinito, moriva all’ospedale di un comoda pleurite, senza che si sentissero sufficientemente i tormenti e la dissoluzione del corpo. Tutto ciò restava grigio su grigio, come lo è molto spesso una vita vista dall’esterno, mai una vita vista dall’interno.
E tuttavia, in un angolo di penombra, questo personaggio continuava ad abitare dentro di me. Nel 1957, mentre mi trovavo nell’île des Monts-Déserts (preferisco utilizzare questo nome messo sulla carta da Champlain [38], piuttosto che il più recente appellativo di Mount-Desert Island), accettai, come facevo spesso allora, l’offerta di un breve giro di conferenze, modo facile per dedurre dalla cartella delle imposte una parte delle spese di viaggio. Il giro doveva portarmi in tre città del Canada: Québec, Montréal, Ottawa, e il mio pubblico sarebbe stato quello delle università e dei circoli francesi. A quel tempo, la cosa più facile per me era di andare a
prendere, in una lontana stazione di villaggio nel Maine, il solo treno New YorkMontréal che accettasse ancora dei passeggeri. Era già l’epoca in cui i treni stavano per raggiungere i dinosauri nei ripostigli del tempo, in attesa che le automobili, un giorno o l’altro, li raggiungessero a loro volta: le ferrovie del Maine servivano ormai solo per i convogli di tronchi d’alberi destinati a diventare pasta da carta. Il treno, fornito di un unico vagone passeggeri, si fermava in quella stazione alle due del mattino: così ancora oggi. Verso le dieci di sera l’ultimo autobus mi condusse, assieme a Grace Frick, davanti ad una stazione deserta e chiusa: la sala d’attesa veniva aperta solo all’una e quarantacinque. Ci rifugiammo nell’unico albergo del posto. Questo, del genere osteria, era rumoroso e fumoso. Mentre Grace si sedeva a un tavolo con un libro, letto alla luce di una fievole lampadina, io chiesi per quelle poche ore una stanza e un letto. Me la diedero al primo piano. Stretta, nuda, tappezzata di una vistosa carta da parato, la cameretta non conteneva, oltre al letto, che una sola sedia, e doveva servire a dei commessi viaggiatori sperduti in questo luogo isolato per una ragione
qualunque.
Il freddo e una nevralgia mi impedirono di dormire, ma in due ore accadde lo straordinario: vidi passare sotto i miei occhi, usciti improvvisamente dal niente, ma rapidi e incalzanti come le immagini di un film, gli episodi della vita di Nathanaël, al quale, da venti anni, non pensavo nemmeno più.
Esagero, e s’impone un’eccezione: due o tre anni prima, avevo letto una biografia di Samuel Pepys [39], l’inglese amante della musica da camera, della vita domestica ben regolata e delle avventure libertine, che fu non soltanto, come si sa da tempo, l’intelligente cronista della Londra del secolo XVII, non solamente, come si sa da quando è stata sottratta alla clandestinità questa parte del suo diario, un precursore nel campo di una totale franchezza erotica, ma anche, se lo si può dire, nei giorni in cui lavorava, un efficiente Lord dell’Ammiragliato [40]. Per caso avevo saputo che ai suoi tempi dei falegnami olandesi lavoravano negli arsenali britannici. Questo fatto mi aveva ricordato il mio giovane operaio di Amsterdam e mi ero detta che un tale inizio si sarebbe adattato molto bene alla sua vita. Avevano quelle riflessioni deposto silenziosamente in me un humus di immagini o mi avevano offerto dei relitti di avventure? In ogni caso, per due ore, nel riverbero di una lampada sul muro della mia camera, ho visto passare sotto i miei occhi un Nathanaël di sedici anni che non conoscevo ancora. Zoppicava, ed era stato messo a imparare presso un maestro di
scuola dato che il lavoro sulle impalcature e nei bacini di carenaggio non gli si confaceva. Costretto alla fuga in seguito a una rissa, si nascondeva nella stiva di un trealberi in partenza per le Isole; seguivo i suoi vagabondaggi dalla Giamaica alle Barbados e di là, spostandosi verso nord, a bordo di una nave corsara britannica che pattugliava la costa del Maine, da poco aperta agli appetiti europei; lo immaginavo partecipare a un episodio autentico, che resta peraltro la sola parte ‘storica’ del mio racconto, l’attacco da parte di questo filibustiere inglese a un gruppo di gesuiti francesi sbarcati da poco nell’île des Monts-Déserts, che allora meritava quel nome. La scaramuccia ebbe luogo nel 1621; il mio racconto, volontariamente molto vago sulle date (Nathanaël fa a meno della cronologia), la sposta in avanti di qualche anno, forse intorno al 1630. Un po’ dopo, e un po’ più lontano, lo vedevo incagliarsi nell’‘Isola Perduta’ che si può situare a piacere, senza troppa precisione, nell’estremo nord del Maine o sull’attuale frontiera canadese, fra Great Wass Island e Campobello, poi ritornare in Europa, non sapevo bene come, e grazie alle poche conoscenze acquisite un tempo presso il maestro di scuola, trovare un posto di correttore presso uno zio taccagno, libraio ad Amsterdam, già presente nell’abbozzo primitivo.
Sposava sempre una giovane ebrea di nome Saraï, che nel frattempo era diventata ladra almeno quanto prostituta. C’era sempre la passeggiata desolata sotto la neve, ma Nathanaël moriva meno in fretta. Uscito dall’ospedale lavorava come cameriere, frequentando un po’ il mondo della ricchezza, della raffinatezza e delle arti, che egli giudicava da uomo che aveva conosciuto il rovescio delle cose. Pensavo che dovesse morire in un’isola della costa frisone, non sapevo ancora quale né come. In quel
momento vennero a dirmi che il treno era stato annunciato. Il giro di conferenze, buone, mediocri o cattive, poi una grave indisposizione che mi trattenne per quasi tre settimane a Montréal, altri lavori e infine una serie di anni difficili, mi fecero rinunciare completamente a prendere nota delle mie fantasticherie di una notte in uno sperduto villaggio del Maine. Mi dissi, come mi sono detta più volte in casi analoghi, che se erano veramente importanti, sarebbero ricomparse. Scrissi L’Opera al nero, Care memorie, Archivi del Nord, dei saggi, delle traduzioni, ma Nathanaël si era rincantucciato nell’ombra. Ne è uscito nel 1980, a distanza di
ventidue anni.
Il testo attuale di Un uomo oscuro si colloca dunque interamente fra gli anni 1979-81, così densi per me di avvenimenti, cambiamenti, viaggi. Alle immagini che avevo visto sfilare, ventidue anni prima, se ne erano presto aggiunte altre, da quelle derivate. Per ogni libro giunto al punto in cui non c’è che da scriverlo, si verifica sempre quel momento di proliferazione. Personaggi nuovi, incontrati per caso alla svolta di un episodio, scene nascoste dietro altre come altrettanti scenari scorrevoli: la piccola Foy, i suoi vecchi genitori e il fratellino idiota; Mevrouw Loubah e la sua casa un po’ losca, un po’ equivoca; l’ellenista dissipato e caduto in miseria; la governante dal volto di Parca del borgomastro Van Herzog che conduce, per vie indirette, Nathanaël nell’isola in cui morirà; gli abitanti della cucina e quelli dei saloni decorati; la storia del cane salvato dai denti di una tigre, trovata consultando delle note su delle vecchie gazzette del secolo XVIII; il rumore sordo delle onde che creano e distruggono le dune, le migliaia di battiti d’ala che sono andata di recente a riascoltare in una isola della Frigia [41], l’angolo di landa quasi riparato dal vento, sotto i cui corbezzoli mi sono sdraiata cercando il luogo in cui Nathanaël sarebbe morto il più comodamente possibile. Ogni opera letteraria è così fatta di un insieme di visioni, di ricordi e di gesti, di nozioni e di informazioni ricevute durante la vita, oralmente o attraverso i libri, e dalle raschiature della nostra stessa esistenza.
La difficoltà principale di Un uomo oscuro era di mostrare un individuo quasi incolto formulare silenziosamente il proprio pensiero sul mondo che lo circonda, e talvolta, molto raramente, con delle lacune e delle esitazioni che corrispondono ai tentennamenti di un balbuziente, sforzarsi di comunicarne agli altri almeno una piccola parte. Nathanaël è di quelli che pensano quasi senza il tramite delle parole. Come dire che è quasi sprovvisto di quel vocabolario, insieme usuale e abusato, consumato come le monete che sono servite troppo, e che ci serve a scambiarci quelle che riteniamo essere delle idee, ciò che pensiamo di credere e ciò che crediamo di pensare. Per scrivere questo racconto bisognava inoltre che fosse trascritta quella meditazione quasi senza contorni. So di avere barato prestando a Nathanaël la sua mediocre cultura ricevuta dal maestro di un villaggio, fornendogli così non soltanto la possibilità di occupare, presso suo zio Elia Adriansen, un impiego mal pagato, ma la possibilità di collegare fra loro certe nozioni e certi concetti: quel po’ di latino, di geografia, di storia antica gli serve, come suo malgrado, da boa nel mondo di flussi e riflussi che è il suo; non è assolutamente così ignorante e così sprovveduto come avrei voluto che fosse.
Rimane tuttavia indipendente, per quanto è possibile, da ogni opinione precostituita, il quasi autodidatta per niente sciocco, ma libero al massimo, istintivamente diffidente di quanto i libri che sfoglia, le musiche che gli capita di sentire, le pitture sulle quali si
posano talvolta i suoi occhi, aggiungono alla nudità delle cose, indifferente ai grandi fatti della cronaca, senza pregiudizi per tutto quanto riguarda la vita dei sensi, ma anche senza l’eccitazione o le ossessioni fittizie che sono la conseguenza dell’oppressione o di un erotismo acquisito, in grado di prendere la scienza e la filosofia per quello che sono, e soprattutto di prendere per quello che sono i dotti e i filosofi che incontra, e che alza sul mondo uno sguardo tanto più chiaro quanto è più incapace di orgoglio. Non c’è altro da dire su Nathanaël” (M. Yourcenar, Un uomo oscuro, in Ead., Opere… cit., pp. 1099-1104).

5 – Un racconto a sfondo storico e il suo ‘doppio passato’
In Un uomo oscuro i riferimenti diretti a fonti, personaggi ed eventi storici puntuali sono più limitati e sfuggenti [42] di quelli presenti in Memorie di Adriano e ne L’Opera al nero. Ciò dipende, almeno in parte, dal fatto che il protagonista di Un uomo oscuro non è né un personaggio storico famoso come l’imperatore romano Adriano, né un intellettuale immaginario ma storicamente verosimile come Zénon Ligre, bensì un “uomo oscuro” come Nathanaël. Inoltre, i riferimenti a eventi e personaggi presentati come coevi rispetto ai 27 anni di vita di Nathanaël coprono un arco storico più ampio di quello biografico. Per esempio, l’episodio dell’uccisione dei gesuiti nell’Isola Perduta (con la partecipazione di un Nathanaël presumibilmente sedicenne o giù di lì), che M. Yourcenar (a p. 1102 della Postfazione a Un uomo oscuro riportata nel paragrafo 4) fa risalire al 1621, sembrerebbe, invece, riferibile al luglio 1613 in base alla
documentazione storica disponibile (cfr. la nota 17). La richiesta di Niklaus Cruyt a Nathanaël di procurargli “[…] un buon libretto salace sugli amori di Mazzarino e della Regina […]” (M. Yourcenar, Un uomo oscuro, in Ead., Opere… cit., p. 1001) sembra riferirsi a una mazarinade, ossia a una delle composizioni in versi satirici o burleschi o dei pamphlet o libelli in prosa, pubblicati al tempo della Fronda (1648-1653) sugli amori della regina Anna d’Austria (reggente di Francia durante la minor età di Luigi XIV, nel 1643-1651) con il cardinale Giulio Raimondo Mazzarino / Jules Raymond Mazarin (primo ministro del Regno di Francia fra il 1642 e il 1661).
Perciò forse è prudente considerare Un homme obscur un ‘racconto a sfondo storico’ più che un ‘racconto storico d’invenzione/finzione’ vero e proprio. “Sans l’apport d’un vaste appareil documentaire qui ne ferait qu’alourdir le récit, Marguerite Yourcenar tisse son texte sur un canevas historique qu’elle connaît en spécialiste pour s’être souvent intéressée à cette époque qui découle directement de celle de L’Œuvre au Noir, et à laquelle a souvent été confrontée au cours de ses nombreux voyages ainsi
que par ses lectures et l’observation des œuvres picturales de ce temps: ‘la Hollande du XVII siècle, que nous avons tous visitée à travers ses peintres’ (OR 1033). Il ne saurait donc être établi que l’auteur se borne à quelques minimes références historiques. Tout en ne voulant être ni un récit historique, ni une histoire romancée, Un homme obscur est toutefois bien un récit sur fond historique de cette première moitié d’un XVIIe siècle anglo-hollandais” [43]: Christiane Gys, Le porteur d’eau, in Aa. Vv., Nathanaël pour compagnon. Dix études sur Un homme obscur de Marguerite Yourcenar avec une bibliographie par Françoise Bonali-Fiquet, “Bulletin” della SIEY cit., 1999, n. 12, pp. 7-22 (in https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Gys.pdf), cit. nella nota 1 a p. 7.
Occorre ricordare che un testo letterario, come qualunque opera d’arte, non è semplice riproduzione/mimesi della realtà, ma rappresentazione/ interpretazione/ reinvenzione di aspetti di ‘realtà’ (nel senso più ampio del termine, dal ‘mondo esterno’ l’inconscio) [44].
Inoltre, sulla scia del concetto di “doppio passato” adottato per il cinema da Peppino Ortoleva [45], è necessario rammentare che in un racconto storico di finzione/invenzione (come, più in generale in tutte le opere d’arte ambientate in epoche passate) l’epoca di ambientazione e quella di produzione non coincidono; perciò i fruitori successivi di tali opere devono analizzare questo ‘doppio passato’, che diventa “triplo” “[…] nel caso di una distanza temporale significativa fra la prima ideazione dell’opera e la sua realizzazione definitiva […]” [46], o di due differenti versioni o edizioni (tanto più se parecchio distanziate nel tempo), come fra D’après Rembrandt e Un homme obscur. Il 1979, in cui M. Yourcenar ha scritto, nella Postfazione a Un uomo oscuro [47], di aver “Letto e riletto molte volte […]” D’après Rembrandt, è l’anno della morte di Grace Frick, ammalata di cancro dal 1958, ma aggravatasi sempre più negli anni ’70. Nel 1980-1981, quando stende Un homme obscur, M. Yourcenar, prima donna ammessa all’Académie française, viaggia in Europa, Asia, Africa e Oceania, in compagnia di Jerry Wilson; il 22 gennaio 1981 viene ricevuta all’Académie française.
Infine, se “[…] è più prudente considerare un’opera d’arte anzitutto come fonte per la storia dell’immaginario del suo autore sulla tematica rappresentata e per la storia della specifica arte (letteratura, cinema o musica)” [48], Un uomo oscuro può essere considerato anzitutto una ‘fonte primaria’ rispetto alla storia dell’immaginario di Marguerite Yourcenar sulle classi subalterne e sui marginali nelle società inglese, coloniale e olandese a cavallo fra ‘500 e ‘600, piuttosto che rispetto alla storia delle classi subalterne e dei marginali in tali società dell’epoca. Ciò non significa non si possa considerare Un uomo oscuro anche come fonte ‘primaria’ per la storia dell’immaginario collettivo e per la storia della letteratura, in presenza di una scrittrice in genere storicamente molto documentata (tanto più sulla storia anglo-olandese e coloniale del ‘500-‘600) come M. Yourcenar e nella scia della “rivoluzione
documentaria” del XX secolo [49], che ha prodotto una “caratterizzazione dinamica delle fonti” [50] e il parziale superamento delle tradizionali classificazioni delle fonti e della coppia oppositiva “documento”/”monumento” [51].
Come altri testi narrativi a sfondo storico di M. Yourcenar, Un uomo oscuro riesce ad essere un racconto contemporaneamente storico e attuale, universalistico e personale (se non autobiografico) [52].

6 – Appendice: alcuni passi di Un uomo oscuro
A) La convivenza umana e animale nell’Isola Perduta


“La famiglia che aveva soccorso Nathanaël era composta dal vecchio, che ai suoi tempi aveva prestato servizio anche lui su una fregata inglese, dalla vecchia, originaria di La Rochelle [53] e finita lì per il naufragio di un’imbarcazione diretta verso un insediamento francese, dalla loro figlia, di nome Foy, e da un figlio scemo al quale non era stato dato il nome. […] Nathanaël comprese ben presto che l’amore del prossimo non era la sola ragione che aveva spinto i due vecchi a rianimarlo e a curarlo: benché ancora robusti, si erano detti che un ragazzone di vent’anni non sarebbe stato di troppo per aiutarli nelle loro fatiche, e Foy era in età da marito. […]
La casa aveva una sola stanza, ma una scala portava al sottotetto. Non passò molto tempo che i vecchi vi sistemarono un pagliericcio per due contro la parete meno fredda, quella riscaldata in basso dal camino. Non si curarono di andare dal pastore,
dal quale li separava tutta l’ampiezza dell’isola, ma su quella specie di letto e sulla trapunta sfilacciata i vecchi recitarono una benedizione. Ogni notte Nathanaël e Foy salivano così nella loro tana buia, perché il risparmio e il timore del fuoco erano due
ragioni sufficienti per fare a meno delle candele. Nathanaël amava quell’oscurità. Era piacevole dormirci o accarezzarsi fino all’alba, caldamente stretti l’uno contro l’altro.
[…]
[…] Alla pesca, Nathanaël preferiva la raccolta delle bacche, così abbondanti, quando era stagione, da cambiare il colore della piana; le sue mani e quelle di Foy diventavano rosse per il succo delle fragole e bluastre per quello dei mirtilli troppo maturi. Benché gli orsi fossero rari nell’isola, dove non si avventuravano che d’inverno, sorretti dal ghiaccio, Nathanaël ne vide uno, in un luogo isolato, mentre raccoglieva con la sua larga zampa tutti i lamponi di un cespuglio e li portava alla bocca con un piacere così delizioso che lo sentì come proprio. Quei bestioni imponenti, ingozzati di frutti e di miele, non erano da temere fin tanto che non si sentivano minacciati. Non parlò a nessuno di quell’incontro, come se tra l’animale e lui ci fosse stato un patto.
Non parlò nemmeno del volpacchiotto incontrato in una radura, che lo aveva guardato con una curiosità quasi amichevole, immobile, le orecchie tese come quelle di un cane.
Mantenne il segreto su quella zona del bosco dove aveva visto delle bisce temendo che il vecchio, che le chiamava brutte bestie, decidesse di ucciderle. […]
Nonostante la tosse e il respiro un po’ corto, Foy lavorava come un uomo. […]
Quando la sua [di Foy] salute peggiorò, fecero venire uno stregone indiano che esorcizzava le malattie. Costui bruciò dei mucchi d’erba che riempirono la capanna di un odore strano e acuto, si contorse, cadde a terra, emise grida rauche che erano anche dei canti, ma Foy né migliorò né peggiorò. […]
Ogni mattina [Nathanaël] faceva sedere Foy sulla panca intiepidita dal sole autunnale, ma i vecchi continuavano a pretendere che lei facesse la sua parte di lavoro. Di lontano la si sentiva tossire nei campi. Si intenerirono solo quando non poté più alzarsi dal pagliericcio. La vecchia faceva bollire per lei dei licheni che Nathanaël andava a cercare tra gli scogli. La notte , lui si coricava su dei sacchi per lasciarla dormire più comodamente, ma lei lo supplicava di sdraiarlesi accanto per rassicurarla e riscaldarla.
A ogni sbocco di sangue, la paura di morire le faceva spalancare gli occhi. E tuttavia morì, in fretta e quasi senza soffrire, all’inizio di ottobre. […] Il vecchio si era distratto dal suo dolore scavando la fossa; mentre lavorava, vide una talpa disturbata nel suo nascondiglio sotterraneo e la spezzò selvaggiamente in due con un colpo di badile.
Senza che Nathanaël ne sapesse il perché, il ricordo di Foy e quello della bestiola assassinata restarono per sempre legati l’uno all’altro” (M. Yourcenar, Un uomo oscuro, in Ead., Opere… cit., pp. 974, 975, 976, 977 e 977-978).


B) Nathanaël, correttore di bozze, riflette su cultura e religione


“Dopo quattro anni trascorsi senza pensare (così almeno credeva), era ritornato al mondo delle parole distese nei libri. Questi lo interessavano meno che in altri tempi. Ebbe da correggere un Cesare, e subito dopo un Tacito, ma quelle guerre e quegli
assassinî principeschi gli sembravano far parte del mucchio, detto glorioso, di agitazioni inutili e incessanti di cui nessuno si preoccupa di meravigliarsi. Avant’ieri, Giulio Cesare; ieri, nelle Fiandre, il Farnese [54] o Don Giovanni d’Austria [55], oggi
Wallenstein [56] o Gustavo Adolfo [57]. […]
Quelle tribù sterminate dal grande romano gli ricordavano i selvaggi qua sgozzati, là sfruttati, per gloria di un qualunque Filippo, Luigi o Giacomo [58]. Quei legionari che si inoltravano nella foresta o negli acquitrini dovevano rassomigliare agli uomini armati di moschetto che si sparpagliavano nelle solitudini del Nuovo Mondo […]. Ma Cesare aveva imposto ai Galli solo l’autorità di Roma; non aveva avuto la sfrontatezza di convertirli all’unico verso Dio, un Dio che non era affatto lo stesso in Inghilterra e in Olanda, di quello in Spagna e in Francia, e i cui fedeli si divoravano tra loro… La canaglia batava si accalcava per accogliere le navi che rientravano dai combattimenti riportando le conquiste d’oltremare. Si vedevano i legnami preziosi e i sacchi di spezie, ma non si vedevano i denti rovinati dallo scorbuto, i topi e i parassiti del castello di prua, le sentine puzzolenti, lo schiavo dal piede mozzato che aveva visto agonizzare in Giamaica. Né si vedeva meglio il sacco d’oro del mercante che finanziava alla partenza queste grandi imprese, e vendeva talvolta ai comandanti le sue derrate adulterate o di peso inferiore, come quel tipaccio di Greenwich. Si domandava per quanto tempo sarebbe durata quella solfa.
Lesse i poeti. […] Nathanaël dovette rivedere un volumetto di elegiaci latini e un’edizione di Ovidio. Gli piacquero; ci si imbatteva talvolta sfogliando una pagina in versi che scorrevano come il miele, un insieme di sillabe che lasciava nell’animo un’impressione di felicità. Come colui che cantava gli uccelli di Venere: Et Veneris dominae volucres, mea turba, columbae… [59] dopotutto non si trattava che di parole, meno belle degli uccelli dal collo cangiante e liscio… Aveva amato Janet; gli sembrava di avere amato Foy; il sentimento che aveva provato per loro era più semplice e forse più intenso di quello che esprimevano quei poeti grondanti tante lacrime, gonfi di tanti sospiri e ardenti di tanti fuochi. […]
Il giorno dopo, nel parlatorio-biblioteca, cercò su una grossa Bibbia le sole pagine verdi e fresche di cui si ricordava in quella foresta di parole, e cioè alcuni versetti del Vangelo. Sì, quelle parabole nate nei campi o in riva a un lago erano belle; una dolcezza emanava dal Discorso della Montagna, di cui ogni parola è falsa nel mondo in cui viviamo, ma è forse vera in un altro regno, perché ci sembra venuta dal fondo di un Paradiso perduto. Sì, gli sarebbe piaciuto quel giovane agitatore che viveva tra i poveri, contro cui si erano accaniti Roma con i suoi soldati, i dottori con la loro Legge, la plebaglia con le sue grida. Ma che, staccatosi dalla Trinità e disceso in Palestina, quel giovane ebreo fosse venuto a salvare la razza di Adamo con quattromila anni di ritardo sul peccato, e che non si potesse andare in cielo che attraverso di lui, a questo Nathanaël non credeva, non più di quanto credesse agli altri miti compilati dai dotti.
Andava tutto bene finché queste storie fluttuavano come nubi innocenti nella immaginazione degli uomini; pietrificate in dogmi, gravanti con tutto il loro peso sulla terra, non erano più che nefasti luoghi santi frequentati dai mercanti del Tempio, con i loro mattatoi per le vittime e i cortili per la lapidazione. E certamente la madre di Nathanaël viveva e sarebbe morta fortificata dalla sua Bibbia, […] ma Foy, lei, era vissuta nell’innocenza e aveva cessato di vivere senza altra religione di quella che hanno l’erba e l’acqua delle fonti” (ivi, pp. 987, 987-988 e 989-990).

C) La divisione sociale del lavoro ad Amsterdam e il ruolo del denaro nella casa del signor Van Herzog


“Era la prima volta che [Nathanaël] viveva in una casa di ricchi. Elia non era stato altro che un borghese, soddisfatto di possedere dei piatti di stagno e due o tre boccali d’argento, e ciò che possedeva in moneta era chiuso nella sua cassaforte. La cassaforte di questi signori era sparsa invece in alcune dozzine di banche o di imprese. La porcellana di Canton, in cui il signor Van Herzog mangiava, testimoniava che suo padre era stato uno dei primi a inviare squadre mercantili verso la Cina, un viaggio così pericoloso che si segnava in anticipo, in conto profitti e perdite, un terzo dei bastimenti e degli equipaggi. Questa fortuna già vecchia permetteva all’ex borgomastro le prerogative e gli ozi di un uomo nato ricco; le perdite in vite umane, le estorsioni, le astuzie inseparabili dall’acquisizione di ogni ricchezza, datavano da prima di lui, e altri, e non lui, ne erano responsabili; il suo lusso e quello di sua figlia ne ricevevano una specie di dolce patina.
Rivedendo Londra, e poi scoprendo Amsterdam, dopo i due anni trascorsi all’Isola Perduta, Nathanaël si era meravigliato degli agi della grande città, che esime persino i più poveri dal dover quotidianamente strappare alla terra e all’acqua il necessario per vivere.
Dissodare, poi arare, seminare, piantare e raccogliere; squadrare i tronchi necessari per le costruzioni o legare le fascine che si usano per scaldarsi; tosare le pecore, cardare, filare e tessere la lana; abbattere il bestiame, affumicare o seccare il pesce pescato di fresco; macinare e impastare, cuocere e rimescolare: ognuno degli abitanti dell’Isola Perduta aveva più o meno eseguito tutti questi lavori, da cui dipendevano la propria vita e quella della famiglia. Qui la birra si comprava nella taverna, il pane dal fornaio che suonava il corno per annunciare la fine della cottura; cadaveri già pronti a servire da nutrimento pendevano dai ganci del macellaio; il sarto e il ciabattino
tagliavano in forma di abiti stoffe già tessute e pelli già raschiate e conciate. Ma la fatica dell’uomo, che si sfianca per ottenere la paga del sabato sera non era minore: il pane quotidiano prendeva l’aspetto di una monetina di rame, o, più raramente, d’argento, che permetteva di acquistare il necessario per vivere. I più agiati, loro, si preoccupavano delle scadenze dei titoli o degli affitti; un credito non incassato era per Elia l’equivalente di un raccolto perduto. L’insicurezza aveva solo cambiato di forma.
Invece di essere visibilmente soggetti al fulmine, alle tempeste, alla siccità o al gelo, dei quali non ci si accorgeva più se non per le limitazioni che ponevano, si dipendeva ormai dal pubblicano, dal ministro di Dio che esige la sua decima, dall’usuraio, dal
padrone, dal proprietario. Ogni uomo, anche il più povero, faceva venti volte al giorno il gesto di colui che porge, o viceversa, che riceve un tondo di metallo per comprare o vendere qualche cosa. Di tutti i contatti umani, questo era il più comune, in ogni caso
il più evidente. La domenica alla predica dove Elia lo obbligava a recarsi, Nathanaël si era spesso aspettato di sentir dire: ‘Dacci oggi, Signore, il nostro soldo quotidiano’.
Ma in questa ricca casa il danaro sembrava rinnovellarsi e generarsi da se stesso: non se ne sentiva nemmeno l’indiscreto tintinnio. Si nascondeva nel marmo che incorniciava il fuoco negli alti camini; ronfava dolcemente nelle stufe di maiolica; qui pavimenti di legno, là piastrelle istoriate e, oltre, tappeti che attutivano il passo.
Lubrificava la macchina domestica che provvedeva ai piccoli lavori e ai piccoli fastidi della giornata, inviava al primo piano, al signor Van Herzog, e al secondo, alla signora d’Ailly, i vassoi ricolmi di pietanze raffinate elegantemente servite e l’acqua calda per la cura del corpo, e ne riportava mattina e sera l’acqua sporca e il contenuto delle seggette. Sapeva di buono nei fiori delle giardiniere, scintillava la notte nei lampadari, nei candelieri completi di bianche candele di cera. Travestito da benessere, si travestiva anche da tempo libero: era lui che consentiva al signor Van Herzog di dedicarsi agli studi e alla signora d’Ailly di suonare il clavicembalo nel salone blu.
E tuttavia, quell’uomo e quella donna sembravano ogni tanto a Nathanaël dei prigionieri, e i loro domestici una specie di carcerieri, la cui partenza in massa li avrebbe lasciati sprovveduti come lo erano Tim e Minne [60]. Nonostante fossero dei buoni padroni, non erano amati. […]
Nathanaël pensava che quell’omino aveva buon cuore. Ma era possibile che al signor Van Herzog piacesse essere superiore ai suoi ospiti per educazione come lo era sicuramente per ricchezza. Ricco e considerato, poteva permettersi degli scrocconi che assecondassero le sue manie. Nathanaël aveva sentito lodare, come qualità particolare dei Paesi Bassi, lo spirito di eguaglianza vigente negli usi e nei costumi la cui sobrietà rifiutava i merletti e i fronzoli francesi. Ma ci sono molte sfumature di tono e di qualità nel più semplice tessuto nero. Quell’uguaglianza, che non era nemmeno concepibile tra l’ex borgomastro e il suo cameriere, non esisteva neanche tra l’opulento padrone di casa e un chimico disoccupato o un logoro anatomista, per quanto ammessi a nutrirsi della sua più raffinata cucina” (ivi, pp. 1014-1016 e 1020).


D) In una piccola isola della Frisia, Nathanaël, sempre più malato e solo, teme la morte e tenta un bilancio della propria vita


“A poco a poco, la paura, insidiosa dapprima, poi gonfiata spesso fino alla frenesia, gli si insediò dentro. Ma non era, come aveva creduto, la paura della solitudine, ma quella della morte, come se la morte fosse divenuta più ineluttabile dacché egli era
solo. […]
Il suo buon senso gli diceva che si muore sempre soli. E non ignorava che le bestie per morire si rinchiudono nella solitudine. E tuttavia, durante le sue crisi di soffocamento notturne, gli sembrava che una presenza umana lo avrebbe sostenuto, fosse stata anche solo quella di Tim e Minne, che non sarebbero rimasti che per spogliarlo, ancora caldo, degli abiti vecchi. […]
Viveva senza libri, non avendo trovato nella casetta che una Bibbia che bruciò senza risparmio un giorno che la stufa prendeva male. Ma gli sembrava ora che i libri che gli era capitato di leggere (poteva da questi giudicare tutti i libri?), gli avessero dato poco, meno forse dell’entusiasmo o della riflessione che vi aveva messo lui stesso; pensava comunque che sarebbe stato male non immergersi interamente nella lettura del mondo che, adesso e per così poco tempo, aveva sotto gli occhi e che gli era come toccato in sorte. Leggere dei libri, come tracannare acquavite, sarebbe stato un modo di stordirsi per non essere là. E d’altra parte, che cosa erano i libri? Aveva lavorato anche troppo, da Elia, su quelle file di piombo spalmate di inchiostro. Più le sue sensazioni corporee gli divenivano penose, più gli sembrava necessario cercare piuttosto di seguire, se non di comprendere, a forza di attenzione, ciò che si faceva o
si disfaceva dentro lui.
Una o due volte, come aveva sentito consigliare dal pulpito da dei signori in collarina e lunghe maniche nere, cercò di valutare come meglio poteva il proprio passato. Non ci riuscì. Per cominciare, non si trattava particolarmente del suo passato, ma solamente delle persone e delle cose incontrate strada facendo; le rivedeva, o almeno alcune tra di esse; non vedeva se stesso. Tutto considerato, gli sembrava che gli uomini e le circostanze gli avessero fatto più bene che male, di aver goduto, giorno dopo giorno, più di quanto non avesse sofferto, ma certo delle felicità di cui molti non avrebbero saputo che farsene. Aveva conosciuto delle gioie che nessuno sembrava tenere in considerazione, come masticare un filo d’erba. Non era mai stato ricco né famoso; non aveva mai desiderato essere una cosa o l’altra. Gli sembrava anche di non avere mai fatto del male, foss’anche una pietra lanciata contro un uccello, o una parola crudele, che poteva incancrenire nella memoria di qualcuno. Se era andata così, era stato anche per caso. Avrebbe potuto uccidere il grosso uomo di Greenwich, non l’aveva fatto per pura combinazione. Se Saraï gli avesse proposto apertamente di andare a vendere per lei una refurtiva, forse, vile e appassionato, avrebbe detto di sì.
Ma intanto, chi era questa persona che designava come se stesso? Da dove veniva? Dal grosso carpentiere gioviale dei cantieri dell’Ammiragliato, che amava fiutare il tabacco e distribuire schiaffoni, e dalla puritana moglie di lui? Ma no: era solamente passato attraverso di loro. Non si sentiva, come si sentono tanti, uomo in opposizione agli animali e agli alberi; piuttosto fratello dei primi e lontano cugino dei secondi. Né si sentiva particolarmente maschio davanti al dolce popolo delle femmine; aveva ardentemente posseduto alcune donne, ma fuori dal letto, le sue preoccupazioni, i suoi bisogni, la sua dipendenza dalla paga, dalla malattia, dai doveri quotidiani che si compiono per vivere, non gli erano sembrati tanto diversi dai loro. Aveva, raramente, è vero, gustato la fraternità carnale che gli recavano altri uomini; non si era sentito per questo meno uomo. Si falsava tutto, pensava, riflettendo così poco sulla flessibilità e sulle risorse dell’essere umano, così simile alla pianta che cerca il sole e l’acqua, e bene o male si nutre dei terreni dove il vento l’ha seminata. Gli sembrava che la consuetudine, più che la natura, segnasse le differenze che noi stabiliamo tra i ceti, le abitudini e le conoscenze acquisite sin dall’infanzia, o i diversi modi di pregare ciò che chiamiamo Dio. Anche le età, i sessi, e persino le razze, gli sembravano più vicini di quel che non si creda gli uni degli altri: bambino o vecchio, uomo o donna, animale o bipede che parla e lavora con le sue mani, tutti comunicavano nella sventura e nella dolcezza dell’esistenza. Malgrado la differenza di colore, si era inteso bene con il meticcio; malgrado la sua religione, che del resto non praticava quasi, Saraï era stata una donna come un’altra; e c’erano anche ladre battezzate. Nonostante il fossato che separa un domestico da un borgomastro, aveva provato affetto per il signor Van
Herzog, che certamente non aveva per il suo domestico che un briciolo di benevolenza; nonostante le poche cognizioni acquisite alla scuola del maestro e, in seguito, nei libri sfogliati da Elia, non credeva di saperne di più di Markus [61], o, un tempo, del meticcio, che era stato cuoco. Nonostante la sottana, e la Francia da cui proveniva, il giovane gesuita gli era parso un fratello.
[…] C’era attorno a lui il mare, la nebbia, il sole e la pioggia, le bestie dell’aria, dell’acqua e della terra; viveva e sarebbe morto come queste bestie. Era sufficiente.
Nessuno si sarebbe ricordato di lui più di quanto si sarebbe ricordato delle bestiole dell’estate precedente. […]
Ogni notte, avvolto in una delle belle coperte del signor Van Herzog, che asciugavano meglio di un lenzuolo i sudori della febbre, pensava che non avrebbe visto il mattino.
Era molto semplice: quanti animali selvatici quella notte non avrebbero rivisto l’alba?
Lo prendeva un’immensa pietà per le creature, ognuna separata da tutte le altre, per le quali vivere e morire è quasi ugualmente difficile”
(ivi, pp. 1056, 1056-1057, 1057-1059 e 1060).

7 – Note, a cura di Maurizio Gusso
[1] Pseudonimo di Marguerite Antoinette Jeanne Marie Ghislaine Cleenewerck de Crayencour (Bruxelles 8 giugno 1903 – Bar Harbor/USA 17 dicembre 1987), figlia di Michel René Charles Cleenewerk de Crayencour (Lilla/Francia 10 agosto 1853 – Losanna 12 gennaio 1929) e della sua seconda moglie Fernande de Cartier de Marchienne, nata a Suarlée/Belgio il 23 febbraio 1872 e morta di febbre puerperale il 18 giugno 1903, a Bruxelles. Michel de Crayencour pubblicò a proprie spese le prime due opere della figlia, col nome d’arte Marg Yourcenar (un anagramma di Crayencour, al netto di una C mancante, scelto insieme da padre e figlia): il poema dialogato Le Jardin des Chimères (Perrin, Parigi, 1921) e la raccolta di versi Les Dieux ne sont pas morts. Poèmes (Sansot – R. Chiberre, Parigi, 1922). Fino al romanzo Alexis ou le traité du vain combat (Au Sans Pareil, Parigi, 1929; I ed. italiana: Il colpo di grazia e Alexis, o Il Trattato della lotta vana, Feltrinelli, Milano, 1962, tr. di Maria Luisa Spaziani) Marguerite si firmò Marg Yourcenar, mentre a partire dall’opera successiva (La Nouvelle Eurydice. Roman, Bernard Grasset, Parigi, 1931) assunse come pseudonimo
Marguerite Yourcenar. Quando Marguerite nel 1947 ottenne la cittadinanza statunitense, adottò Yourcenar come cognome ufficiale, conservato anche quando riprese la cittadinanza francese, condizione necessaria per poter essere nominata (1980) membro dell’Académie française.


[2] Cfr. un paio di testi a cavallo fra ricerca storica e didattica della storia: Patrizia Cirio (a cura di), Individui soggetti e storia: problemi teorici, metodologici e didattici sulla storiografia della soggettività, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1991 e in particolare Luisa Passerini, Il tema del soggetto in prospettiva storiografica e Soggettività e intersoggettività in sperimentazioni universitarie di didattica e di formazione, pp. 12-18 e 111-121; Maurizio Gusso, I soggetti nella storia: per un
curricolo inclusivo (20 aprile 2021), in https://www.storieinrete.org/storie_wp/?p=20875.


[3] Mémoires d’Hadrien, Librairie Plon, Parigi, 1951; prima ed. italiana: Le Memorie di Adriano Imperatore, Richter, Napoli, 1953 (tr. di Lidia Storoni Mazzolani); poi, con il titolo Memorie di Adriano, Bompiani, Milano, 1986, pp. 299-578 (tr. di L. Storoni Mazzolani); ed. più recente: Memorie di Adriano, seguite dai Taccuini di appunti, a cura di L. Storoni Mazzolari, Einaudi, Torino, 2020.


[4] L’Oeuvre au noir. Roman, Gallimard, Parigi, 1968; prima ed. italiana: L’Opera al nero. Romanzo, tr. di Marcello Mongardo, Feltrinelli, Milano, 1969 (ed. più recente: ivi, 2014, 40ª ed.); poi, col titolo L’Opera al nero, in M. Yourcenar, Opere. Romanzi e racconti, Bompiani, Milano, 1986, pp. 579-905 (tr. di Francesco Saba Sardi).


[5] Cfr. Jean-Claude Schmitt, La storia dei marginali, in Jacques Le Goff (a cura di), La nuova storia, Arnoldo Mondadori, Milano, 1980, pp. 257-287 (tr. it. di Tukery Capra; ed. or.: La nouvelle histoire, dir. da J. Le Goff, Roger Chartier e Jacques Revel, CEPL, Parigi, 1978)

.
[6] Cittadina sulla riva destra del Tamigi, in cui il duca di Gloucester Humphrey di Lancaster (Londra 3 ottobre 1390 – Bury St Edmunds/Regno d’Inghilterra 23 febbraio 1447), zio e reggente (1422-1429) di Enrico VI d’Inghilterra (1422-1461 e 1470-1471), fece erigere nel 1423-1433 il palazzo di Bella Court, chiamato poi Palace of Placentia dalla regina Margherita d’Angiò (1445-1461 e 1470-1471), moglie di Enrico VI, e divenuto residenza favorita dei sovrani Tudor, ma caduto in rovina durante la Guerra civile inglese (1642-1651).


[7] First Lord of the Admiralty (Primo lord dell’ammiragliato), capo politico della Royal Navy, marina militare del Regno d’Inghilterra.


[8] Colonia spagnola (detta anche Colonia di Santiago) dal 1509 fino all’occupazione inglese (10 maggio 1665) e alla formalizzazione della colonia inglese dopo il trattato di Madrid (18 luglio 1670).


[9] L’Isola Perduta “[…] si può situare a piacere, senza troppa precisione, nell’estremo nord del Maine o sull’attuale frontiera canadese, fra Great Wass Island e Campobello […]”: M. Yourcenar, Un uomo oscuro, in Postfazioni, in M. Yorcenar, Opere… cit., p. 1102 (Great Wass Island è l’isola più vasta del Great Wass Archipelago, attualmente nel Maine/USA, a nord della Mount Desert Island; la Campobello Island si trova ancora più a nord, attualmente nel New Brunswick/Canada). Cfr. Loredana Primozich, Le Nathanaël de M. Yourcenar à la découverte de l’Acadie de Champlain, “Études Canadiennes / Canadian Studies”, 1994, n. 37, pp. 365-380 e in particolare pp. 376-380


[10] Sull’ambientazione nell’Isola dei Monti Deserti cfr. L. Primozich, art. cit., pp. 371- 376


[11] Mi’kmaq, popolazione autoctona algonchina della costa dell’America nordorientale, di lingua micmac (una delle lingue algonchine).


[12] Abenachi, popolazione autoctona algonchina, di lingua abenaki (una delle lingue algonchine).


[13] Sulla scia delle riflessioni di Alessandro Manzoni sul “romanzo storico” e sui “componimenti misti di storia e d’invenzione” (A. Manzoni, Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione, 1830) e di Peppino Ortoleva sul “film storico d’invenzione” (Peppino Ortoleva, Rifar le polpe al carcame della storia.
Il passato nell’audiovisivo di finzione e la didattica, in Aa. Vv., La cinepresa e la storia.
Fascismo antifascismo guerra e resistenza nel cinema italiano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1985, pp. 58-63 e in particolare pp. 59-68), si possono utilizzare con cautela le espressioni “racconto storico d’invenzione” o “racconto storico di finzione” a proposito di Un uomo oscuro. Il libro, peraltro, non può essere rinchiuso in una rigida definizione di ‘genere’. Per esempio, le somiglianze e le differenze fra Un homme obscur e il genere picaresco sono state analizzate da Patricia de Feyter, “Un homme obscur” de M. Yourcenar: un néo-picaro a tempera, “Bulletin” de la SIEY (Société Internationale d’Études Yourcenariennes), 1989, n. 2, pp. 35-44, in
https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Feyter-s.pdf; AnneYvonne Julien, Marguerite Yourcenar ou la signature de l’arbre, Elena Real, València, 1988, pp. 205 e sgg., cit. nella nota 12 di p. 116 di Radana Lukajic, Un homme obscur
ou l’art de se laisser vivre, “Bulletin” della SIEY cit., 2011, n. 32, pp. 91-116, in
https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/12%20Lukajic%20d%C3%A9f.pdf.

[14] Cfr. M. Gusso, Storicità, fonti, genesi ed attualità di un film storico di finzione: Bronte (1972) di Florestano Vancini, in Cristina Cocilovo (a cura di), Insegnare e apprendere il passato a scuola tra finzione e storia, “I Quaderni di Clio ‘92”, 2015, n. 14, pp. 49-67. Cfr. M. Gusso, Il laboratorio con le fonti letterarie, in Paolo Bernardi e Francesco Monducci (a cura di), Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, UTET Università, Torino, 2012, pp. 157-172 (II ed.; I ed.: in Insegnare storia.
Guida alla didattica del laboratorio storico, a cura di P. Bernardi, ivi, 2006, pp. 150-165 e 265-267); M. Gusso, Per una didattica laboratoriale storico-letteraria. Racconti del secondo dopoguerra, in lingua italiana, sulle esperienze migratorie dall’Italia e in
Italia, 25 maggio 2012, in https://www.storieinrete.org/storie_wp/?p=7482; Id., Le opere d’arte come fonti. Alcuni esempi: testi letterari, film e canzoni, in Paola Lotti ed Elena Monari (a cura di), Incroci di linguaggi. Rappresentazioni artistiche del passato
nella didattica della storia, Mnamon, Milano, 2016, pp. 15-34.


[15] “Soltanto dalla partecipazione a un’interiore mozione iniziale, magari alimentata e seguita nella sua crescita lungo epoche diverse della propria vita, la Yourcenar perviene all’essenziale decantazione dei motivi e dei caratteri. Zenone, Nathanaël, Adriano (rispettivamente nell’Opera al Nero, Un uomo oscuro e Memorie di Adriano) giacciono per decenni nel pensiero della Yourcenar, presentandosi al momento della scrittura nitidi in fisionomia, credibilmente attuali come da una cronaca illustrata; vaghi ancora come sorti da un’assidua ricerca d’archivio raffinata dalla fantasia. La durata di quelle gestazioni, tipiche dell’autrice, comporta l’intima prolungata convivenza ideale con i propri personaggi. Una forma di meditazione, prima che di tecnica compositiva, alimenta e sostiene dunque le figure sorte dallo studio e dall’immaginazione” (Gianni Poli, Invito alla lettura di Marguerite Yourcenar, Mursia, Milano, 1990, p. 29). “Ai soggetti dei suoi libri, la Yourcenar lavora avanzando per stratificazioni progressive e livelli disparati. Mediante quel peculiare scavo ‘archeologico’ (o movimento ‘geologico’ impresso alla letteratura) vite segrete e storie di civiltà, caratteri e tipologie, passato e presente, ambiente naturale e paesaggio su cui la tecnica ha operato vengono rappresentandosi con crescente evidenza. La soluzione d’ogni uomo alle prese con le scelte e con il destino personali si tempera alla presenza d’una vita, di una pulsazione universali” (ivi, p. 30).


[16] Cfr. M. Yourcenar, Ad occhi aperti. La mia vita: conversazioni con Matthieu Galey, tr. it. di Laura Guarino, Bompiani, Milano, 1982 (ed. or.: Les yeux ouverts. Entretiens avec Matthieu Galey, Éditions du Centurion, Parigi, 1980); Josyane Savigneau, L’invenzione di una vita: Marguerite Yourcenar, Einaudi, Torino, 1991 (tr. it. di Oreste Del Buono; ed. or.: Marguerite Yourcenar. L’invention d’une vie, Gallimard, Parigi, 1990); Michèle Sarde, Tu, Marguerite Yourcenar. La passione e le sue maschere, Le Lettere, Firenze, 1996 (ed. or.: Vous, Marguerite Yourcenar. La passion et ses masques, Robert Laffont, Parigi, 1995). Cfr., inoltre, Il labirinto del mondo (Le labyrinthe du monde), la trilogia della saga familiare di M. Yourcenar, composta da Care memorie (Einaudi, Torino, 1981, tr. di Graziella Cillario; ed. or.: Souvenirs pieux, Gallimard, Parigi, 1974), Archivi del Nord (Einaudi, Torino, 1982, tr. di G. Cillario; ed. or.: Archives du Nord , Gallimard, Parigi, 1977) e Quoi? L’Éternité (Einaudi, Torino, 1989, tr. di G. Cillario; ed. or.: Gallimard, Parigi, 1988).


[17] M. Yourcenar, nella Postfazione a Un homme obscur parla di una “scaramuccia” che “[…] ebbe luogo nel 1621” (M. Yourcenar, Opere… cit., p. 1102); tuttavia l’attacco sferrato dal Treasurer capitanato da Samuel Argall (nato nel 1572 o 1580 e morto in mare il 24 gennaio 1626) – al servizio di Sir Thomas Dale, governatore della colonia inglese della Virginia – all’insediamento gesuita francese di Saint-Sauveur (attuale Bar Harbor) avvenne nel luglio 1613: cfr. Tim Garrity, The Histories of Saint Sauveur, “Chebacco. The Magazine of the Mount Desert Island Historical Society”, 2011, vol. XII, pp. 21-39, in http://mdihistory.org/wp-content/uploads/2011-The-Histories-ofSaint-Sauveur_ocr.pdf; cfr. L. Primozich, art. cit., pp. 374-376.


[18] Nata a Toledo/USA l’12 gennaio 1903 e morta nella Petite Plaisance (residenza acquistata nel 1950 e abitata da allora con M. Yourcenar) di Northeast Harbor il 18 novembre 1979.


[19] Nato il 22 marzo 1949, fotografo di una troupe televisiva francese venuta a videoregistrare M. Yourcenar nella Petite Plaisance nel 1978, diventato nel 1980 compagno di casa, viaggi e vita di M. Yourcenar, morto di Aids a Parigi l’8 febbraio


[20] Isola delle Piccole Antille, luogo di razzia di schiavi da parte degli Spagnoli, denominata Os Barbados (I Barbuti) dall’esploratore portoghese Pedro A. Campos (1536) perché le radici aeree dell’albero autoctono Ficus citrifolia gli sembravano barbe, fu occupata (14 maggio 1625) e colonizzata (a partire dal 17 febbraio 1627) dagli inglesi.


[21] Prima colonia spagnola del Nuovo Mondo, fondata da Bartolomeo Colombo (fratello di Cristoforo) il 5 agosto 1498; saccheggiata dal pirata inglese Francis Drake nel 1586, fu abbandonata e lasciata in balia dei corsari per più di 50 anni.


[22] Secondo L. Primozich (art. cit., pp. 374-375 e 375-376), il personaggio potrebbe essere ispirato alla figura di padre Gilbert du Thet, ferito mortalmente nel luglio 1613 (cfr. nota 17); cfr. anche T. Garrity, art. cit., pp. 24-26.


[23] Capitale del Genevois (Genevese), dato in appannaggio ai duchi di SavoiaNemours (ramo cadetto di Casa Savoia) dal 1564 al 1665, anno in cui entrò a far parte del Ducato di Savoia.


[24] Città inglese (nella Contea del Kent) sulla sponda meridionale dell’estuario del Tamigi, avamposto del sistema portuale di Londra.


[25] Signora (in neerlandese).


[26] Grafia francese per Hoorn, capoluogo della regione storica della Frisia occidentale (in neerlandese West-Friesland), porto sullo Zuiderzee (cfr. nota 27).


[27] Lo Zuiderzee (letteralmente in neerlandese: Mare del Sud) era un golfo dei Paesi Bassi, lungo le coste del Mare del Nord, che venne sbarrato e bonificato, in seguito alla creazione, a nord, di una grande diga (Afsluitdijk in neerlandese), terminata nel 1932, e di vari polder (terreni olandesi bonificati, sotto il livello del mare, difesi da argini).


[28] In neerlandese Nijmegen, capitale del Ducato di Gheldria (in neerlandese Hertogdom Gelre) dal 1347, nel 1585 aderì alla Repubblica delle Sette Province Unite.


[29] Brema (in tedesco Bremen), la più antica città-stato tedesca.


[30] Sui riferimenti del racconto ai dipinti di Rembrandt cfr. Agnès Fayet, Saraï, la servante et la courtisane, “Bulletin” della SIEY cit., 2003, n. 24, pp. 89-107, in https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Fayet_0.pdf.


[31] Henri-Maximilien Ligre, cugino di Zénon, personaggio de L’Œuvre au noir.


[32] La Chronologie riportata in M. Yourcenar, Œuvres romanesques cit., p. XV) parla di un “[…] projet d’un long roman contenant l’histoire de plusieurs familles ou groupes reliés entre eux et s’écoulant sur quatre siècles”, ossia di un “[…] progetto di un
romanzo lungo contenente la storia di varie famiglie o gruppi legati fra loro, nell’arco di quattro secoli” (trad. mia).


[33] “Il titolo del 1934 aveva il difetto, che era anche delle altre due novelle, di far apparire i racconti quali sistematiche imitazioni dell’opera dei tre pittori, ciò che non erano” (M. Yourcenar, Nota dell’autrice a L’Opera al nero, in Ead., Opere… cit., pp. 891-905, cit. nella nota 1 a p. 892).


[34] “[…] quanto agli avvenimenti raccontati in D’après Rembrandt, constatiamo che si sono svolti fra gli ultimi anni del secolo e l’anno 1614, data in cui ha verosimilmente luogo la fuga di Lazare” (tr. mia).


[35] Cfr. A. Fayet, art. cit.


[36] Cfr. Michèle Berger, Nathanaël ou l’art de faire mourir, “Bulletin” della SIEY cit., 1989, n. 4, pp. 9-23, in
https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Berger-s.pdf, e in particolare pp. 11-12.


[37] Cfr. M. Ledesma, La Mort conduit l’attelage: trois texts virtuels, ivi, 1997, n. 18, pp. 62-64.


[38] Samuel de Champlain (Hiers-Brouage/Francia 1567 – Québec/Nouvelle France 25 dicembre 1635), disegnatore, cartografo, esploratore e scrittore francese; fondatore della città di Québec (3 luglio 1608) e autore di vari libri di viaggio.

[39] Samuel Pepys (Londra 23 febbraio 1633 – Clapham/Regno d’Inghilterra 26 maggio 1703), alto funzionario dell’Ammiragliato e parlamentare inglese, autore di un diario (a partire dal 1° gennaio 1650 fino al 1659, quando perse la vista), manoscritto e stenografato, trascritto dal reverendo John Smith nel 1819-1822, pubblicato in due volumi nel 1825 e in nove volumi nell’edizione definitiva, redatta e trascritta da Robert Latham e William Matthews.


[40] I Lords Commissioners of the Admiralty (lord commissari dell’ammiragliato), ufficialmente noti come Commissioners for exercising the office of lord high admiral of the Kingdom of England (commissari esercitanti l’ufficio di Lord grand’ammiraglio del Regno d’Inghilterra), componevano il Board of Admiralty (Commissione dell’Ammiragliato), istituito nel 1628 dal re d’Inghilterra Carlo I (1625-1649) in sostituzione del First Lord of the Admiralty (Primo lord dell’ammiragliato) del Regno d’Inghilterra. Nel 1673 Samuel Pepys fu nominato segretario della Commissione dell’Ammiragliato (1673-1679) e nel giugno 1684 King’s Secretary for the affairs of the Admiralty (Segretario del Re per gli affari dell’Ammiragliato), incarico che mantenne durante i regni di Carlo II (1660-1685) e Giacomo II (1685-1688), ma da cui si dimise nel febbraio 1689, dopo la Glorious Revolution (Gloriosa rivoluzione) del 1688-1689 e l’ascesa al trono d’Inghilterra da parte di Guglielmo III (1689-1702) e Maria II Stuart (1689-1694).


[41] Frisia.


[42] Cfr. Philippe-Jean Catinchi, De l’atemporalité des creatures. Le chemin d’un homme obscur, “Bulletin” della SIEY cit., 1990, n. 6, pp. 109-126, in https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Catinchi_0.pdf.


[43] “Senza l’apporto di un vasto apparato documentario che non farebbe che appesantire il racconto, Marguerite Yourcenar tesse il suo testo su un canovaccio storico che conosce come specialista per essersi interessata all’epoca che deriva direttamente da quella de L’Opera al nero e con cui si è spesso confrontata nel corso dei suoi numerosi viaggi, come pure attraverso le sue letture e l’osservazione delle opere pittoriche di quel tempo: ‘l’Olanda del secolo XVII, che tutti abbiamo visitato attraverso i suoi pittori’ (Œuvres romanesques cit., p. 1033)” (tr. mia; la citazione interna è tratta dalla Postface di Marguerite Yourcenar a Un homme obscur, ibid.).


[44] Cfr. M. Gusso, Il laboratorio… cit., pp. 158-159; Id., Le opere d’arte… cit., p. 16.


[45] P. Ortoleva, Rifar le polpe… cit., pp. 67-68; Id., Cinema e storia. Scene dal passato, Loescher, Torino, 1991, pp. 60-71.


[46] M. Gusso, Le opere d’arte… cit., p. 24.


[47] La citazione è presa dalla p. 1099 di M. Yourcenar, Opere… cit..


[48] M. Gusso, Le opere d’arte… cit., p. 19.


[49] Cfr. M. Gusso, Letteratura e storia per capire il Novecento, in Vincenzo Guanci e Carla Santini (a cura di), Capire il Novecento. La storia e le altre discipline, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 38-53 e in particolare p. 39.


[50] Jerzy Topolki, La storiografia contemporanea, Editori Riuniti, Roma, 1981 (ed. or.: Marksizm i historia, Państwowy Instytut Wydawniczy, Varsavia, 1977), pp. 37-62.


[51] Jacques Le Goff, Documento/monumento, in Aa. Vv., Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino, 1978, vol. V, pp. 38-48.


[52] Si vedano, per esempio, le affinità tra gli atteggiamenti non violenti ed empatici verso gli altri esseri viventi (umani, animali e vegetali) da parte di Nathanaël e di M. Yourcenar, con il passar del tempo sempre più ecologista, animalista e influenzata dal buddhismo. Cfr. Lucile Desblache, Marguerite Yourcenar et le monde animal. Éthique et esthétique de l’alterité, “Bulletin” della SIEY cit., 1997, n. 18, pp. 143-156, in https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Desblache_1.pdf; Mireille Douspis, Bouddhisme et concepts scientifiques dans l’œuvre de Marguerite Yourcenar, ivi, 2005, n. 26, pp. 37-58, in
https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Douspis.pdf. Sui tratti ‘femminili’ di Nathanaël cfr. Teófilo Sanz, Féminiser le masculin ou renier la féminité: l’éthique de la sollicitude dans Un homme obscur, in Manuela Ledesma Pedraz e Rémy Poignault (a cura di), Marguerite Yourcenar. La femme, les femmes, une écriture-femme?. Actes du Colloque International de Baeza (Jaén) (19-23 novembre 2002), SIEY, Clermont-Ferrand, 2005, pp. 377-385, in https://www.yourcenariana.org/sites/default/files/documents_pdf/Sanz_0.pdf.


[53] Porto atlantico francese, dopo l’editto di Nantes (aprile 1598) di Enrico IV di Francia (1589-1610) diventò un importante centro calvinista (‘ugonotto’). I contrasti con il re di Francia Luigi XIII (1610-1643) e con il suo primo ministro Armand-Jean du Plessis de Richelieu (1624-1642) portarono a un assedio di 14 mesi da parte dell’esercito francese e alla resa (1° novembre 1628).


[54] Alessandro Farnese (Roma 27 agosto 1545 – Arras/Paesi Bassi spagnoli 3 dicembre 1592), III duca di Parma e Piacenza, IV duca di Castro, generale italiano al servizio del Re di Spagna Filippo II (1556-1598), governatore dei Paesi Bassi spagnoli (1578-1592).


[55] Don Giovanni d’Austria (Ratisbona/città libera del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica 24 febbraio 1547 – Bouge/Namur/Paesi Bassi austriaci 1° ottobre 1578), figlio naturale dell’imperatore Carlo V e Barbara Blomberg; capo della flotta
della Lega Santa (1571), vittoriosa nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), e governatore dei Paesi Bassi spagnoli (1576-1578).


[56] Albrecht Wenzel Eusebius von Wallerstein (Heřmanice/Regno di Boemia 24 settembre 1583 – Cheb/Regno di Boemia 25 febbraio 1634), iniziò nell’esercito dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (1576-1612) la sua carriera militare, proseguita nell’esercito dell’imperatore Mattia d’Asburgo (1612-1619); partecipò alle fasi boemo-palatina (1618-1625), danese (1625-1629) e svedese (1630-1635) della Guerra dei trent’anni (1618-1648); fu nominato conte palatino del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica (1622), duca di Friedland (1625) e Ammiraglio del Mare del Nord e del Mar Baltico (gennaio 1628) dall’imperatore Ferdinando II d’Asburgo (1619-1637), che lo licenziò nel settembre 1630, ma lo richiamò in seguito all’ingresso della Svezia nella fase svedese della Guerra dei trent’anni.


[57] Gustavo II Adolfo Vasa (Stoccolma 19 dicembre 1594 – Lützen/Principato Elettorale di Sassonia 6 novembre 1632), re di Svezia (1611-1632), protagonista della fase svedese della Guerra dei trent’anni e morto nella battaglia di Lützen.


[58] Presumibili riferimenti ai re di Spagna Filippo II, Filippo III (1598-1621) e Filippo IV (1621-1665), al re d’Inghilterra Giacomo I (1603-1625) e al re di Francia Luigi XIII (se non anche a Luigi XIV: 1643-1715, ma incoronato solo nel 1654, dopo la reggenza della madre Anna d’Austria).


[59] Si tratta del verso 31 del III libro delle Elegie del poeta latino Properzio (Sesto Aurelio Properzio, Assisi o Urvinum Hortense 47 a.C. ca. – Roma, dopo il 16 a.C.): “e gli uccelli di Venere padrona, le colombe, mia schiera” (tr. mia).


[60] Una coppia di vecchi mendicanti di Amsterdam.


[61] Giovane abitante di Oudeschild, piccolo villaggio situato in un’altra parte della stessa isola della Frisia (Texel), nelle Isole Frisone Occidentali.

Copertina di M. Yourcenar, Comme l’eau qui coule. Anna, Soror… Un homme obscur.
Une belle matinée, Gallimard, Parigi, 1982, in

https://www.amazon.it/Comme-leaucoule-MargueriteYourcenar/dp/207021706X?asin=B00VLZ1Q5Q&revisionId=9846bcca&format=1&depth=1.

Copertina della V edizione di M. Yourcenar, La Mort conduit l’attelage, Bernard Grasset, Parigi, 1934 (copyright: 1933), in https://www.amazon.fr/MargueriteYourcenar-Mort-conduit-lattelage/dp/B0018LDKFC.

Marguerite Yourcenar (Bailleul, 1982.10.04): foto di Bernhard De Grendel, in
File:Marguerite Yourcenar-Bailleul-1982.10.04.Bernhard De Grendel (10).jpg. – Wikimedia Commons

  • Tutti i link sono stati verificati per l’ultima volta il 16 maggio 2021.

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17 maggio 2021