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Caselli e casellanti

“Una vecchia storia di donne e uomini ai bordi dei binari di una ferrovia perduta”
di Cristian Rossi

recensione di Antonella Olivieri

febbraio 2024

Ci è stata recentemente inviata una copia di un breve ma intenso, documentato e appassionato saggio intitolato Caselli e casellanti, di Cristian Rossi.

A seguito dei ricorrenti disastri lungo i binari e nelle stazioni ferroviarie che costano vittime tra i lavoratori e cittadini, il libro non ha mancato di suscitare in noi riflessioni non banali sul rapporto tra tecnologia e lavoro dell’uomo.

Il testo racconta la crescita del numero dei casellanti via via che si ampliava la rete delle strade ferrate, come allora si chiamavano le ferrovie, unificate con il R.D. del 31 ottobre 1873, ma la cui gestione fu affidata a tre diverse società, così come accade oggi per le autostrade, fino alla nazionalizzazione del 1905-1906, cioè la creazione delle Ferrovie dello Stato.

L’autore inizia la narrazione proprio dagli anni successivi all’Unità e poi dagli ultimi quindici di fine Ottocento, quelli in cui il potenziamento della rete ferroviaria procede più intensamente.

Le fonti principali delle informazioni sono i Regolamenti delle Ferrovie, che indicano in modo minuzioso i compiti dei casellanti e dei cantonieri: Regolamenti all’inizio modellati sull’esempio di quelli francesi, più avanzati dei nostri.

Casellanti uomini e donne

Il casellante aveva molti compiti: chiudeva le sbarre all’approssimarsi del treno e le riapriva dopo che questo era passato. Doveva rimuovere fango, ghiaccio, detriti dalle rotaie e allontanare bestiame e persone estranee. Dopo il passaggio del treno doveva ispezionare il tratto di rotaie a lui affidato per controllare che non fossero subentrati danni con il passaggio del convoglio. Anche nei confronti dei macchinisti il casellante aveva delle responsabilità, come la segnalazione di ostacoli sui binari o altri problemi, come ghiaccio o scarsa visibilità, che rendessero necessario rallentare.

La crescita della rete ferroviaria di centinaia e centinaia di kilometri moltiplica i compiti dei casellanti che devono spesso assentarsi a lungo per individuare guasti, bulloni allentati, fango o sassi franati sui binari che potrebbero ostacolare la sicurezza dei convogli.

È a partire proprio dall’ampliamento della rete e dal moltiplicarsi dei compiti dei casellanti che si aprono inedite prospettive di lavoro per le donne. A esse Cristian Rossi dedica un particolare riconoscimento nelle prime pagine e molte fotografie, tra cui la copertina del saggio. Sono individuate inizialmente come aiutanti e supporti dei mariti. Così vengono assunte, non senza le perplessità e opposizioni tipiche dell’epoca, come guarda-barriere, con regolare divisa, per presidiare i passaggi a livello con i compiti di chiusura, apertura e vigilanza.

Quella della casellante, diviene negli anni una prospettiva di emancipazione, con l’acquisizione di un ruolo economico per la famiglia, ma anche per la società.  Le donne affiancano i nuovi compiti professionali a quelli, consueti, di madri di famiglia con un lavoro incessante che le donne svolgevano con professionalità e un orgoglio che è evidente nelle molte fotografie che le ritraggono ai caselli e ai passaggi a livello. Il lavoro di casellante, insieme a quello di maestra, levatrice, postina, contribuì al mutamento della condizione femminile tra ‘800 e ‘900.

I caselli

La struttura dei caselli è descritta in modo dettagliato, con piante esemplificative: sono minuscoli casotti adiacenti ai passaggi a livello, costruiti spesso in luoghi impervi e isolati o addirittura malsani come nel caso di quelli delle zone malariche. Per questi ultimi si attua una forma di sorveglianza sanitaria cura e prevenzione con reti alle finestre e abbigliamento protettivo per i casellanti. I casotti, tutti con numero progressivo, erano destinati al riparo del casellante durante la notte o il maltempo e servivano a custodire la divisa e la dotazione degli strumenti per il lavoro (regolamento, orari ferroviari, orologi, cornette, bandiere, lanterne per segnalazioni notturne o in caso di pioggia o nebbia ecc.) i Regolamenti descrivevano anche la divisa del casellante o della guarda-barriere che doveva renderli riconoscibili.

I caselli, con l’aumento dell’assunzione delle donne, diventano abitazioni familiari, piccole, ma idonee ad alloggiare una famiglia. Le famiglie dei casellanti vengono via via autorizzate a coltivare un piccolo orto, a piantare un filare di vite o qualche albero da frutto e ad allevare pochi polli e conigli presso il casello, per integrare l’alimentazione.

La progressiva chiusura dei caselli

Il fascismo, con una politica di modernizzazione ed efficienza, dà avvio all’automazione dei passaggi a livello grazie all’allargamento della rete elettrica e ai collegamenti, dapprima con il telegrafo e in seguito con il telefono, tra casello e casello e con le centrali di smistamento. Tale politica continua anche negli anni del dopoguerra e questo porta, insieme alla soppressione di molte linee secondarie, alla progressiva dimissione dei caselli, che in parte sono venduti e riconvertiti ad abitazioni civili o di vacanza. Molti invece diventano progressivamente ruderi o sono recuperati come esempi di archeologia industriale.

La modernizzazione con la dismissione dei caselli non è senza costi sociali: aumentano gli incidenti e le vittime perché, senza la sorveglianza delle casellanti, in molti, per evitare le lunghe attese alle barriere, le superano e finiscono travolti dai convogli.

Le guerre e le ferrovie

Interessanti paragrafi sono dedicati al ruolo delle ferrovie durante le due guerre mondiali e la Resistenza. Le ferrovie sono spesso obiettivi di bombardamenti strategici, servono al trasporto di truppe e materiali bellici. Le guerre sono anche l’occasione per l’aumento delle assunzioni di donne, dato che molti uomini sono richiamati sotto le armi.

Il volume è ricco di immagini: caselli fotografati lungo diverse linee di pianura o montagna, foto degli strumenti di lavoro dei casellanti e delle casellanti, copertine della Domenica del Corriere che riprendono interventi eroici dei casellanti e incidenti scampati. Uomini e donne sono ripresi durante il lavoro al casello, con la divisa o senza.

Il testo si conclude con la storia della casellante Rosina, spesso incontrata dall’autore lungo il tragitto tra Bassano e Venezia frequentato regolarmente.

Il saggio può offrire molti spunti didattici per approfondire la storia dell’Italia dopo l’unificazione e per approfondire la storia della condizione femminile. Chi è interessato può consultarlo nella biblioteca dell’Unione Femminile Nazionale in Corso di Porta Nuova, 32 a Milano.