Lo stereotipo antigiudaico e antisemita[1]dell’ebreo usuraio
di Luciana Preti
Purtroppo, si sente ancora qualche persona ignorante dare dell’”ebreo” o del “rabbino” a qualcuno per accusarlo di essere avaro.
Ma perché mai è diffusa l’idea che gli Ebrei siano per natura avari e usurai? Questo pregiudizio nasce, si può dire, da un paradosso, perché la condanna del prestito a interesse deriva proprio dalla cultura ebraica, infatti, la proibizione si legge nell’Antico Testamento.
Va precisato innanzitutto che “usura” in latino indica semplicemente il prestito a interesse, cioè il pagamento da parte del debitore per l’uso di una certa somma di denaro che il creditore gli concede temporaneamente. La parola quindi non indica, come ora, la richiesta di un interesse esageratamente elevato, solo in seguito assumerà questo significato. Da che cosa nasce dunque la condanna di questa pratica che oggi svolgono le banche e che ai nostri occhi ha una funzione essenziale nello sviluppo economico e appare quindi del tutto legittima?
È noto che la pratica del prestito a interesse risale a tempi molto antichi, fin da quando l’economia monetaria si diffuse nelle aree urbane del Mediterraneo: Egiziani, Babilonesi, Assiri, Fenici, Ebrei, Greci e Romani prestavano a interesse merci e denaro, benché si levassero voci ostili a questa pratica (vedi scheda -1)
Il divieto del prestito a interesse ha inizio proprio nell’era cristiana, poiché deriva dal dettato biblico (Levitico, Deuteronomio) e viene ripreso dai Cristiani: ne parlano diffusamente i Padri delle Chiesa: Basilio di Cesarea nell’Homilia in Psalm. XIV e Ambrogio nel De Tobia.
Vediamo i testi:
Il testo biblico
Levitico 25, 35-38 (parla il Signore)
35. Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è inadempiente verso di te, sostienilo come un forestiero o un ospite, perché possa vivere presso di te.
36. Non prendere da lui interessi né utili, ma temi il tuo Dio e fa vivere il tuo fratello presso di te
37. Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura.
38. Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, per darvi la terra di Canaan, per essere il vostro Dio
Deuteronomio, 23, 20-21: 20.
Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro né di viveri né di qualunque cosa che si presta a interesse. 21. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso
Deuteronomio. 24, 10-13: 10. Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno.
11. Te ne starai fuori e l’uomo a cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il pegno.
12. Se quell’uomo è povero, non andrai a dormire con il suo pegno. (il povero non ha evidentemente nulla da dare in pegno se non il mantello, la coperta su cui dorme).
13.Dovrai assolutamente restituirgli il pegno al tramonto del sole, perché egli possa dormire con il suo mantello e benedirti. Questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli occhi del Signore, tuo Dio.
In seguito alla diffusione del Cristianesimo (non dobbiamo dimenticare che Gesù era ebreo ed ebrei erano i suoi apostoli e i primi cristiani) la condanna del prestito a interesse di beni o di denaro ricorre nelle norme del diritto canonico e la frequenza con cui diversi concili ritornano sull’argomento dimostra quanto questa pratica fosse diffusa in tutti gli ambiti della società non escluso l’ambiente ecclesiastico, a partire dal concilio di Elvira (ora Granada. Spagna) del 305, che puniva coloro che praticavano il prestito a interesse, con pene diverse a seconda che fossero chierici o laici. (Vedi scheda 2)
A partire da Gerolamo e Ambrogio era stato dato grande risalto al testo biblico Deuteronomio 23,20, ma si era aperta una questione destinata a durare a lungo e a produrre effetti contradditori. Il testo dice:
“Da tuo fratello non esigerai nessun interesse, né interesse per denaro, né interesse per viveri, né interesse per qualsiasi altra cosa per cui si suole esigere l’interesse. Dallo straniero potrai esigere l’interesse, ma non dal tuo fratello, affinché Jahvè tuo Dio ti possa benedire in ogni impresa delle tue mani sulla terra della quale stai per entrare in possesso.”
Ma in che senso si deve intendere “fratello” e chi deve essere considerato “straniero”? Secondo Gerolamo i profeti e il Nuovo Testamento hanno esteso l’accezione di “fratello” all’umanità intera: tutti gli uomini sono fratelli in quanto figli di Dio.
Secondo Ambrogio invece lo straniero è il nemico (Cui merito nocere desideras, cui iure inferuntur arma, huic legitime indicuntur usurae. De Tobia, 15,51).
Il comandamento deuteronomico poteva dunque apparire in contrasto con la morale cristiana della fratellanza universale e incompatibile con l’esortazione evangelica “Ma amate i vostri nemici e fate del bene e prestate senza sperarne alcunché…” (Luca VI,35), che Ambrogio, nella medesima omelia, poco più avanti, riprende così: “verumtamen amate inimicos vestros et benefacite eis et mutuum date nihil sperantes et erit merces vestra multa in caelo » (D Tobia, 16,54)
Nel Medioevo
Per Rabano Mauro (784-856) fratello è ogni cattolico, mentre lo straniero è l’infedele o il criminale, e il testo deuteronomico va inteso in senso allegorico: il cristiano “presta” allo straniero quando diffonde la parola di Dio (così anche Ambrogio nel DeTobia), ed esige interessi pretendendo in cambio il pentimento e la conversione dell’infedele. Egli esclude che il testo biblico ammetta un’eccezione al divieto del prestito a interesse del denaro. Tuttavia, vi era chi interpretava il precetto deuteronomico in senso letterale. Nel XII sec. l’usura era praticata con successo tanto da cristiani che da ebrei; perciò, i teologi si sforzarono di darne una nuova interpretazione che consentisse di superare le contraddizioni. (Vedi scheda 3)
Ma perché la figura dell’usuraio ebreo assume un aspetto che si fissa nell’immaginario collettivo?
Nei sec. XII- XIII con lo sviluppo dell’economia mercantile, in cui l’uso del denaro è indispensabile per gli scambi, il prestito a interesse diventa una necessità.
In quest’epoca la condizione giuridica degli ebrei dipendeva dalle concessioni che il principe o il cardinale vicario assicurava loro in merito ad alcuni diritti civili.
In genere era vietato loro di possedere delle terre e di esercitare le arti liberali e meccaniche,[2] esclusa la medicina. Le concessioni prevedevano un regolare contratto (condotta) che richiedeva un pagamento in denaro. Infine, unicamente a loro era concesso di esercitare il prestito a interesse, proibito dalla Chiesa ai cristiani, poiché si diceva che, essendo gli Ebrei già condannati all’inferno, tanto valeva che potessero peccare. Alcuni invocavano come giustificazione del testo biblico la duritia cordis degli ebrei: Dio avrebbe consentito loro di prestare agli stranieri perché conoscendo la loro malvagità, voleva evitare un male peggiore, cioè che chiedessero l’interesse ai propri fratelli. Talvolta principi e monarchi indebitati e insolventi bandivano o incarceravano ebrei o lombardi e ritiravano tali provvedimenti solo in cambio della rinuncia di questi a esigere il pagamento del debito.
Tuttavia, il discredito continuò a perdurare sugli ebrei.
Nel XV sec. le necessità economiche indebolirono le ragioni morali del divieto del prestito a interesse e si costituirono nuove importanti banche private, come quella dei Medici a Firenze, per esempio, ma il principio della fratellanza universale divenne il pretesto per colpire gli usurai ebrei.
Correnti apertamente antigiudaiche dell’ordine francescano attribuirono agli ebrei ogni sorta di delitti e li accusarono di praticare l’usura per odio verso i cristiani, invitando la popolazione cristiana a eliminarli fisicamente e a impadronirsi dei loro beni. Nascevano intanto le prime agenzie di prestito cristiane, i Monti di Pietà, che agli inizi del sec. XVI erano già circa novanta, fondati con il consenso del papa, malgrado l’opposizione dei teologi agostiniani e domenicani, fedeli al principio del divieto dell’usura. L’esegesi ambrosiana fu ripresa di nuovo con violenza: i canonisti negarono agli ebrei il diritto di esigere l’interesse dai cristiani, perché la concessione che Dio aveva fatto loro avrebbe riguardato solo la possibilità di recuperare col prestito a interesse i loro beni detenuti illegalmente da tiranni stranieri.
Invece, nel caso dei Monti di Pietà l’interesse era ritenuto legittimo, non in quanto tale, ma come forma di rimborso per le spese di gestione e come compenso dovuto agli impiegati dei Monti. Nel 1515 Leone X ne dichiarò ufficialmente la legittimità. L’attività bancaria continuò ad espandersi di pari passo con lo sviluppo economico dell’Europa e la condanna del prestito a interesse venne a cadere.
Ma la figura dell’ebreo usuraio perdura nei secoli. Per secoli, infatti, gli ebrei sono accusati di essere avari e di avere una particolare propensione a maneggiare il denaro; tale pregiudizio affonda le sue radici nella cultura medioevale, ma è ancora molto tenace (e dannoso. “rabbino” è usato come termine dispregiativo per indicare una persona avara) ed è ancora generalmente diffusa l’idea che gli ebrei siano tutti ricchi.
Si può vedere anche il perdurare di questo stereotipo nella letteratura: Il rapporto col denaro è presentato in chiave comica già nelle commedie di Aristofane: nel Pluto (in gr. “ricchezza”) compare il dio Denaro in persona, cieco e in fuga perenne dagli uomini che cercano di impadronirsene, ma destinato a cadere sempre in mano ai peggiori delinquenti; mentre nelle Nuvole il primo personaggio che appare sulla scena è un padre disperato per i debiti del figlio: proprio perché impari a sottrarsi ai creditori lo manda a scuola dai filosofi, maestri di chiacchiere.
Il giovane scapestrato alle prese con i debiti è anche il protagonista della commedia di Goldoni La bottega del caffè, in cui vengono delineate le virtù borghesi, una delle quali consiste appunto nell’evitare i vizi come il gioco che portano a contrarre debiti. La figura dell’usuraio ebreo è presente in molte opere, a partire dal teatro elisabettiano (l’Ebreo di Malta di Marlowe e Il Mercante di Venezia di Shakespeare).
La si ritrova nel personaggio di Isacco di York, nel romanzo di Walter Scott, Ivanhoe, del 1820. L’ebreo qui è una figura sostanzialmente positiva: siamo infatti nell’epoca successiva alla Rivoluzione Francese e tra i diritti dell’uomo e del cittadino è stata proclamata la libertà di culto, che porterà all’abolizione dei ghetti; tuttavia, nella caratterizzazione del personaggio permangono certi aspetti negativi che fanno parte da secoli dello stereotipo dell’ebreo: l’attaccamento quasi morboso al denaro, la viltà, la dissimulazione.
Negli stessi anni A. Puškin scriveva il poema drammatico Il cavaliere avaro; e qui è interessante osservare che, benché il cavaliere avaro sia un nobile russo cristiano, tanto avaro da mancare ai suoi doveri di padre, vi è un personaggio ben più odioso: l’usuraio ebreo che lo supera per diabolica malvagità.
Ma la figura dell’usuraio assume un rilievo particolare nel romanzo dell’Ottocento in cui le correnti del Realismo e del Naturalismo hanno insistito sulla necessità di dare spazio alle vicende economiche della società dell’epoca.
Perfidi usurai e infelici debitori perseguitati sono presenti in molte opere di Honoré de Balzac, tra cui ricordiamo Le illusioni perdute.
Un usuraio è il protagonista di La mite di Dostoevskij, nei cui romanzi usurai e debitori sono quasi onnipresenti.
Così pure nei romanzi di Charles Dickens, di cui ricordiamo in particolare Nicholas Nickleby (1839), e La piccola Dorrit (1858). Nell’ambito del verismo ricordiamo il romanzo di Verga I Malavoglia, in cui la vicenda del debito è determinante.
Un saggio molto interessante sul tema dell’usura è La borsa e la vita- Dall’usuraio al banchiere di Jacques Le Goff, edito da Laterza nel 1988.
Un’altra riflessione prende l’avvio dalla tesi che induce al delitto Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo, di Dostojevski, secondo cui ci sono persone indegne di vivere, gli usurai in particolare (e dagli usurai agli ebrei il passo è breve). Il problema se lo era già posto il personaggio di Rastignac, nel romanzo di Balzac, Papà Goriot, e viene ripreso da D’Annunzio in un dramma intitolato Più che l’amore, del 1905: l’usuraio in questo caso non è dichiaratamente ebreo, ma ne ha tutte le caratteristiche, anche somatiche – secondo lo stereotipo allora in voga (ben descritto nella rivista La difesa della razza).
Il discorso del protagonista assume coloriture tipicamente decadenti e superomistiche, che illustrano molto bene il clima dell’epoca, in cui razzismo, nazionalismo imperialistico, disprezzo per il “pecorismo nazareno” e per i buoni sentimenti si mescolano in una miscela pericolosa e porteranno in pochi decenni alle leggi razziali.
Qui Immagine della copertina della rivista “la difesa della razza”.
I due volti affiancati rappresentano la testa di una statua greca di profilo: fulgido esempio di razza ariana, il profilo ripugnante di un uomo che ha le caratteristiche stereotipate dell’ebreo dal naso adunco e gli occhi grifagni e più in piccolo la testa di un selvaggio nero.
Bibliografia
L.Poliakov, Storia dell’antisemitismo, Firenze La Nuova Italia 1994 ( I ed. 1974),
E. Saracini, Breve storia degli ebrei e dell’antisemitismo, Milano Mondadori 1977,
A.Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino Einaudi1992 (1963) ( in particolare pag. 161-167)
C. Mannucci, Antisemitismo e ideologia cristiana sugli ebrei, Milano Unicopli 1982 (in particolare pagg.89-90)
R.Calimani, Storia del ghetto di Venezia, Milano Rusconi 1985,
J. Le Goff La borsa e la vita- Dall’usuraio al banchiere di, Laterza, 1988.
AAVV., La menzogna della razza, Bologna Grafis Edizioni 1994 Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista (Immagini e documenti – 1 gennaio 1994 A cura del Centro Furio Jesi (Autore), (si tratta del catalogo dell’omonima mostra e unisce a testi saggistici una ricca documentazione iconografica)
R.Finzi, L’antisemitismo, dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio, Firenze Giunti 1997
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23 maggio 2023
[1] occorre talvolta precisare che l’”antigiudaismo” è l’avversione dei Cristiani nei confronti degli Ebrei per motivi religiosi ed ha origini remote, mentre l’”antisemitismo” è recente e si fonda sul concetto di “razza”, intendendo l’esistenza di una “razza ebraica”, dalle caratteristiche fisiche e morali ben definite.
[2] Le arti liberali comprendono grammatica, la retorica e la dialettica (il Trivio); l’aritmetica, la geometria, la musica, l’astronomia (il Quadrivio), quelle Meccaniche: Venatio, Lanificium, Navigatio Armatura, Medicina, Agricultura, Theatrica, Architettura e Pittura